BORIC VINCE IN CILE, AMERICA LATINA IN FERMENTO

boricGabriel Boric, nuovo presidente del Cile.
Deputato a 27 anni e Presidente a 35, il più giovane nella storia del Cile e uno dei più giovani al mondo. Carriera politica niente male per Gabriel Boric che, in un Paese a lungo governato dalla destra, ha scalato la politica da posizioni molto di sinistra, guidando prima il movimento studentesco e poi le grandi proteste a sfondo sociale del 2019, cominciate con una manifestazione contro l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana e finite con l’esercito in strada, una trentina di morti e l’allora presidente Pineira costretto a una serie di affannose e sempre meno credibili prese di distanza dal Parlamento, dall’esercito e alla fine anche da se stesso.

Boric ha sconfitto nettamente (11 punti percentuali) il rivale José Antonio Kast, raccogliendo il 56% dei voti. Altro record, nessuno candidato alla presidenza in Cile aveva mai ottenuto così tante preferenze. E il dato non è solo statistico, perché in campagna elettorale Kast si era speso nell’elogio del dittatore Gustavo Pinochet mentre Boric aveva spesso evocato Salvador Allende, alla cui figura ha reso un commosso omaggio appena reso noto l’esito del voto.

Il nuovo Presidente, com’era nelle attese e nelle sue corde, ha promesso cambiamento e giustizia sociale. E ha mandato subito un segnale di preoccupazione per l’ambiente annunciando il blocco di una contestatissima miniera. Arrivando da anni in cui il Cile è stato, anzi si è proposto, come una specie di laboratorio dell’ultraliberismo, anche i piccoli segnali diventano importanti. In realtà Boric entrerà in carica solo nel prossimo marzo ma da oggi ogni sua parola sarà soppesata e le sue promesse studiate con la lente. In Cile, ovviamente, ma anche nel resto dell’America Latina. Dal 2019 a oggi si sono svolte nel continente sei elezioni presidenziali (Argentina e Uruguay nel 2019, Repubblica dominicana e Bolivia nel 2020 e Ecuador e Perù quest’anno) e ovunque, a prescindere dal colore di chi era al potere, ha vinto il candidato dell’opposizione. Ora è arrivato Boric e l’onda lunga della richiesta di cambiamento potrebbe proseguire nel 2022, quando si eleggerà il Presidente nel gigante Brasile del contestatissimo presidente Bolsonaro, con i sondaggi già ora danno Lula potenziale vincitore al primo turno.

Cambiamento, insomma, è la parola d’ordine di tutta l’immensa regione e su questo terreno si misurerà la consistenza del giovanissimo Presidente cileno. In campagna elettorale, come da generale abitudine, Boris ha promesso molto. Per esempio di passare dall’attuale sistema pensionistico privato a uno pubblico e universale, di garantire l’istruzione universitaria gratuita a tutti, di alzare il salario minimo e migliorare l’assistenza sanitaria. Come riuscirà a finanziare tutto ciò, essendo le casse del Cile discretamente esauste? Una risposta è già arrivata: aumentando le tasse ai ricchi e alle grandi imprese, rafforzando la lotta all’evasione fiscale, istituendo una “imposta verde”. Nulla di male in sé, ma il rischio che le grandi aziende fuggano e quelle straniere smettano di investire è reale. La ricerca di una via equilibrata sarà indubbiamente complicata e faticosa.

Anche in politica estera Boric troverà gatte da pelare in quantità. Per prima quella dei rapporti con la Cina, forse il principale investitore estero del Paese. Pechino ha sviluppato forti interessi in Cile, al punto da poterne condizionare, oltre che la politica, anche la vita quotidiana. Il rame estratto in Cile, che costituisce il principale prodotto di esportazione del Paese, finisce per metà in Cina, tanto che gli acquirenti cinesi sono in grado di condizionarne il prezzo sul mercato mondiale e, in potenza, di infliggere colpi economici gravissimi allo stesso Cile. Sono società cinesi quelle che ora controllano quasi il 60% della distribuzione dell’elettricità. Non a caso il Cile già nel 2018 ha firmato il patto per la Nuova Via della Seta proposto da Pechino. Boric ha fatto qualche accenno, nei suoi comizi, a una riduzione dell’esposizione nei confronti di Pechino. Ma si è tenuto sul vago, conscio della delicatezza di questo tema.

In conclusione, bisogna ora fargli molti auguri. E sperare che all’energia del giovane e al carisma del leader, che non gli mancano, si aggiunga la saggezza del politico di razza. E magari qualche buon consigliere.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 22 dicembre 2021

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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