Dunque l’Italia si è ben comportata. Ma per un vero e definitivo bilancio non basta avvolgere la missione nel tricolore. Non si può prescindere dal contesto internazionale, dalla situazione che la produsse e da quella che l’ha vista terminare poche ore fa. Nel 2001 la campagna afghana fu lanciata come risposta agli attentati delle Torri Gemelle, realizzati dagli uomini di Al Qaeda e di Osama bin Laden che nell’Afghanistan dei talebani avevano il loro santuario. Fu una vittoria rapida sul campo, ottenuta però prima ancora di muovere le truppe. Il sottoscritto seguì l’avanzata verso Kabul ed era chiaro che le tribù avevano voltato le spalle (o erano state convinte a farlo) al regime islamista, abbandonato al suo destino.
Ora la campagna (quella italiana, ma gli altri ci seguiranno tra poco) finisce con un sostanziale nulla di fatto. Già ora gli eredi dei talebani controllano una parte importante dell’ Afghanistan: quando il contingente internazionale sarà del tutto scomparso, lo controlleranno per intero, usando le armi o sfruttando le elezioni. Nel frattempo, per arrivare a un ritiro non incalzato da sparatorie e attentati, gli Stati Uniti hanno dovuto riconoscer loro un rango ufficiale, intavolando con loro vere trattative diplomatiche a dispetto del Governo legittimo del Paese. In altre parole, com’è successo altre volte negli ultimi decenni, l’Occidente ha vinto la guerra ma non ha vinto la pace.
È stato quindi tutto inutile? A differenza di altri casi, l’invasione dell’Afghanistan aveva un senso. Perché era assolutamente vero che lì si annidavano terroristi che in un solo giorno, l’11 settembre 2001, avevano massacrato quasi 3 mila persone. Negli Usa, ma persone originarie di 90 Paesi diversi. E che il regime afghano di allora appoggiava e copriva quelle stragi. In Iraq, per fare un esempio, era invece assolutamente falso tutto ciò che veniva raccontato per invadere il Paese. Una differenza non da poco.
Però, appunto, quel che più conta è far vincere la pace. E l’idea di occupare un Paese, cambiarne il governo, portarlo su una strada diversa e modificarne il destino esce con le ossa rotte dall’esperienza afghana. Questa è forse la lezione più importante tra quelle che riportiamo a casa. Sia reso il dovuto onore ai soldati che sono caduti per farcela imprimere nella testa e nella coscienza.
Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 9 giugno 2021