Questa sera, mercoledì 28 aprile 2021, la Champions League offre come partita di cartello l’incontro tra Paris Saint Germain e Manchester City. Qualcuno noterà che si tratta, anche e forse soprattutto, del supremo derby del Golfo Persico. Il Psg dal 2011 appartiene al fondo sovrano del Qatar, che a sua volta è una “creatura” della famiglia Al-Thani, che da un secolo e mezzo domina sull’emirato. Un acquisto che da molti fu visto come la risposta qatariota all’irruzione nel calcio inglese degli Emirati Arabi Uniti, visto che lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan, della famiglia reale di Abu Dhabi, solo tre anni prima aveva acquistato il Manchester City, facendone dall’oggi al domani il club più ricco d’Europa. Sarebbe un errore, quindi, pensare che tra le due squadre ci sia una mera, anche se forte, rivalità sportiva ed economica. Un solo esempio: per quattro anni gli Emirati hanno partecipato (con Arabia Saudita, Bahrein, Egitto e altri Paesi) all’embargo contro il Qatar. Altro che derby.
Com’è ovvio, i ricchissimi maggiorenti dei due Paesi non hanno investito nel calcio (pare abbiano speso entrambi intorno al miliardo di euro, finora) per fare beneficienza, e nemmeno per amore di qualche pur prestigiosa coppa. Controllare squadre che sono anche l’orgoglio delle nazioni d’appartenenza serve soprattutto a conquistare influenza, ottenere contatti, stabilire relazioni politiche. Basterà qui ricordare gli scandali che hanno coinvolto l’ex campione francese Michel Platini, che da presidente dell’Unione delle Federazioni calcistiche europee (Uefa) nel 2010 portò l’emiro qatariota Tamim Ben Hamad Al Thani a cena dal presidente francese Nicolas Sarkozy e poco dopo si adoperò perché i Mondiali del 2022 fossero (abbastanza incredibilmente) assegnati proprio al Qatar. Nessuna sorpresa se poi gli investimenti qatarioti in Francia crebbero in misura quasi esponenziale.
Proprio con i Mondiali 2022 prosegue il derby del Golfo Persico. Per il Qatar ottenerli (e poi difenderli per tutto il periodo dell’embargo) fu una questione di orgoglio internazionale e di supremazia regionale. Si trattava, insomma, di mandare a monte l’azione politica dell’Arabia Saudita, che voleva isolare il Qatar, piegare la dinastia Al-Thani ed era per questo stata promotrice dell’embargo. Forte però è il rischio che il torneo diventi un boomerang. A parte la follia di costruire stadi refrigerati nel deserto, piovono da ogni parte sull’emirato accuse di sfruttamento selvaggio, quando non di vero schiavismo, ai danni dei lavoratori arruolati in Asia, Nepal e Bangladesh in primo luogo. Secondo un’inchiesta del quotidiano The Guardian, centinaia di operai sono morti di fatica ogni anno nei cantieri. E nei mesi scorsi, durante le partite di qualificazione dei Mondiali, i giocatori di molte nazionali (Germania, Norvegia e Olanda tra le altre) hanno indossato magliette con slogan contro la gestione del Qatar.
Si direbbe, quindi, che il Qatar abbia bisogno di tutta la benevolenza delle autorità calcistiche e politiche mondiali. A dispetto di tutto questo, anzi, forse proprio grazie a tutto questo, il derby politico-sportivo del Golfo Persico sembra volgere a favore del Qatar. Il nuovo uomo forte del calcio europeo è Nasser Ghanim Al-Khelaïfi, che è presidente del Paris Saint Germain, presidente del fondo sovrano del Qatar nonché presidente e amministratore delegato di beIN Media Group, un’impresa televisiva che, guarda caso, ha l’esclusiva della trasmissione della Champions in Medio Oriente. Nei giorni scorsi, però, Khelaifi è diventato anche presidente dell’European Club Association (Eca) al posto del dimissionario Andrea Agnelli. Anche questo non è un caso: quando Agnelli lanciò il progetto della Superlega europea, subito naufragato, tra le grandi squadre d’Europa solo il Paris Saint Germain di Khelaifi si tenne fuori. Il Manchester City emiratino invece aveva aderito, per poi ritirarsi dietro le “sollecitazioni” del premier inglese Boris Johnson. Comunque vadano le due partite di Champions League, quindi, una cosa è certa: dietro la scrivania Qatar batte Emirati 2-0.