BIDEN, MISSION IMPOSSIBLE IN MEDIO ORIENTE

bidenCarri armati israeliani al confine con la Striscia di Gaza.

da Eco di Bergamo – È stato detto e scritto con doverosa abbondanza che la carneficina folle lanciata da Hamas il 7 ottobre aveva tra le sue motivazioni la volontà di interrompere il processo di avvicinamento tra Israele e Arabia Saudita, il tassello decisivo nel puzzle degli Accordi di Abramo varato a suo tempo da Donald Trump e conservato da Joe Biden, che anzi per esso si è molto speso. Allo stesso modo, possiamo pensare che la strage dell’ospedale Battista di Gaza sia stata organizzata, a prescindere dal suo autore, per mandare a monte la nuova missione di Biden, arrivato in tutta fretta in Israele mentre il suo segretario di Stato, Anthony Blinken, completava un tour de force presso tutte le capitali del Medio Oriente frequentabili da un politico americano. Se osserviamo con un minimo di distacco la situazione, infatti, notiamo subito che Biden era arrivato in Israele con un duplice scopo. Il primo e più evidente: manifestare solidarietà a Israele. A questo sono serviti gli abbracci al premier israeliano Netanyahu, le ripetute dichiarazioni di solidarietà (che fatte nel Paese attaccato hanno un altro peso), la disponibilità a mobilitare migliaia di soldati e a portare nell’area i mezzi navali più potenti. Il messaggio è stato semplice ed efficace: l’America è stata in passato, è oggi e sarà sempre dalla parte di Israele.

La missione di Biden aveva però anche un altro scopo: evitare l’allargamento del conflitto, impedire che la situazione degenerasse al punto da provocare un intervento armato dell’Hezbollah libanese o, peggio ancora, dell’Iran già sospettato di complicità con Hamas (se non proprio di averne ispirato e organizzato le nefandezze, sempre in odio agli Accordi di Abramo). Tra gli altri spettri, anche quello di una sollevazione della Cisgiordania, dove Abu Mazen e l’Autorità palestinese faticano a contenere le pulsioni estremiste che ribollono in città come Jenin e Nablus. Fatica che in settembre aveva spinto Netanyahu a concedere all’Anp una fornitura di armi e mezzi, nella speranza che quei focolai fossero spenti dagli stessi palestinesi. Inutile sottolineare che un eventuale rivolgimento del Medio Oriente avrebbe ripercussioni globali, con la possibile rinascita del terrorismo islamista in Europa (da Francia e Belgio sono arrivati i primi cruenti segnali) e la prospettiva di un’ulteriore crisi dell’energia che sarebbe una frustata per l’Europa, già indebolita dalla scelta, coraggiosa ma costosa, di rinunciare alle fonti russe. Il tutto mentre l’Occidente è già impegnato a sostenere un’altra guerra, quella che dal febbraio 2022 devasta l’Ucraina.

Condizione indispensabile per arrivare allo scopo era non alienare il fronte arabo moderato o anche solo incline al compromesso, in primo luogo le petro-monarchie del Golfo Persico. E per questo era necessario moderare la rabbia di Israele, deciso a rispondere all’aggressione ma anche, diciamolo pure, a vendicarla. Provare almeno a limitare gli eccessi in quel diritto dello Stato ebraico a difendersi che la Casa Bianca ha sempre ribadito. Ecco perché Biden a Gerusalemme ha detto che «invadere Gaza sarebbe un errore» e ha ricordato che anche gli Usa, dopo l’11 settembre, hanno commesso errori poi pagati a caro prezzo.

La strage orrenda dell’ospedale Battista di Gaza interviene su tutto questo, per disfare la tela, o l’abbozzo di essa, che Biden tentava di tessere. Lo fa, vogliamo ribadirlo, a prescindere da chi ne sia responsabile. Nel triste clima da stadio che si è creato, si fa a gara nell’esprimere certezze. Ma Hamas è sospettabile di qualunque ferocia. E nella data situazione, un Paese ferito come Israele, con un ministro della Difesa che ha già escluso qualunque forma di indagine o corte per i suoi soldati qualunque cosa accada, un premier che forse ha dovuto rinunciare all’operazione via terra (vedi Biden) ma cerca di rimontare il colossale fallimento iniziale, e una collettiva voglia di rivalsa comprensibile e difficile da contenere in presenza di un apparato militare possente, non può essere prosciolto sulla fiducia. Di certo c’è che altre centinaia di innocenti sono morti, che la crisi accelera invece di rallentare e che le piazze arabe e musulmane ci considerano sempre più un unico nemico.

da Eco di Bergamo del 19 ottobre 2023

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Altri articoli sul tema

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top