VIRUS E TERRORISMO, MACRON SOTTO ASSEDIO

virusMascherina contro il virus all'ombra della Tour Eiffel.
di Paolo Romani – «Siamo in guerra». Emmanuel Macron l’aveva detto e ripetuto in marzo, quando la  prima ondata del virus Covid-19 l’aveva costretto a decretare il lockdown. Sette mesi più tardi, la Francia è di nuovo, forse sarebbe meglio dire ancora, in guerra, ma adesso il Presidente e il suo Governo si trovano in una situazione assai più difficile, impegnati a combattere su due fronti. Quello del virus, la cui seconda ondata minaccia di sfuggire ad ogni controllo, a tal punto che Macron ha deciso (controvoglia) di instaurare il coprifuoco nella capitale e nelle altre grandi città. Il provvedimento coinvolge 20 milioni di cittadini, il 30% della popolazione. E il secondo fronte, quello del terrorismo, l’incubo che torna a sconvolgere i francesi dopo il barbaro assassinio di un insegnante, sgozzato e decapitato da un fanatico islamico a Conflans-Sainte Honorine, periferia ovest di Parigi.

Nel momento angoscioso che vive la Francia, i due conflitti appaiono in un certo qual modo indissolubilmente legati. «Comme en quarante », come negli anni Quaranta, è l’espressione che usano i francesi ogni volta che un avvenimento, un incidente, un imprevisto riporta alla memoria il buio periodo della seconda guerra mondiale e dell’occupazione tedesca. Ed è quello che una buona parte della popolazione ha pensato quando Macron è apparso in Tv, mercoledì 14 ottobre, per annunciare il coprifuoco contro il virus dalle 21 alle 6, a Parigi, Lione, Lilla, Marsiglia, Tolosa, Rouen, Grenoble, Saint Etienne, Montpellier, per un periodo di almeno quattro, forse sei settimane. La decisione è stata presa dopo che il numero quotidiano dei contagi ha superato le soglia dei 30 mila, quello dei decessi la soglia dei 90 (per un totale di quasi 34.000 dal 1° marzo) e dopo che la sanità pubblica ha segnalato l’impennata del tasso di positività al 13,1%.
L’impatto psicologico della parola «coprifuoco» è fortissimo in un Paese che conserva nella memoria collettiva i ricordi del sinistro periodo in cui, nella Francia devastata dalla guerra e oppressa dall’occupazione, non si poteva circolare di notte e le pattuglie tedesche sparavano a vista sui trasgressori. Il clima quegli anni è stato ricostruito dai registi cinematografici, prima Claude Autant-Lara con «La traversata di Parigi » (1956, protagonisti Jean Gabin e Bourvil), poi François Truffaut in un film di grande successo « L’ultimo metrò » (1980, con Catherine Deneuve e Gérard Depardieu).
Il coprifuoco decretato da Macron, per la prima volta in tempo di pace, per bloccare il virus sarà meno violento ma quasi altrettanto penoso, e per certi versi molto più mesto. Tutti, tranne pochissime eccezioni, debbono essere a casa per le nove di sera e rimanerci, pena multe salatissime da 135 a 1.500 euro. La Ville Lumière in particolare subirà un colpo durissimo, forse fatale:  un disastro per un’economia incentrata sui consumi e sul turismo. I bar restano chiusi a tempo indeterminato, i ristoranti sono aperti ma non accettano ordinazioni oltre le 20; cinema e teatri programmano l’ultimo spettacolo alle 18:30 o alle 19, e per cercare in qualche modo di compensare i mancati incassi, alcuni hanno deciso di aprire anche la mattina.
La Francia non è la sola a essere duramente colpita dalla seconda ondata del virus Covid-19. Tutti i Paesi europei, chi più chi meno, debbono far fronte al nuovo assalto del virus. Forse ancora più grave che in Francia è la situazione in Gran Bretagna, in Spagna, nella Repubblica Ceca, in Belgio e nei Paesi Bassi, in Polonia, in Irlanda, in Austria, e nei Balcani. Meno grave, ma già preoccupante, è la situazione in Germania, in Svezia, e anche in Italia. Ovunque sono già scattate o stanno per scattare misure restrittive destinate a contenere i contagi, ma per ora soltanto in Francia e in Lombardia si è fatto ricorso al coprifuoco.
Lo sgomento causato dal coprifuoco è di poco conto rispetto all’emozione e all’orrore provocati dall’ultimo attentato terroristico commesso in Francia, quando un insegnante è stato sgozzato e decapitato da un diciottenne di origine cecena. Samuel Paty, 47 anni, padre di famiglia, insegnava Storia, Geografia, Educazione civica e morale alla scuola media Bois d’Aulne di Conflans-Sainte Honorine, 20 chilometri a Ovest di Parigi. Il 5 ottobre scorso, il professore aveva tenuto una lezione sulla libertà di espressione ai suoi alunni tredicenni, e aveva mostrato alcune caricature di Maometto, le stesse pubblicate da Charlie Hebdo che erano state all’origine della strage dei giornalisti e disegnatori del settimanale perpetrata dai fratelli Kouachi nel gennaio 2015. In queste settimane si celebra a Parigi il processo dei complici dei terroristi: undici individui siedono sul banco degli imputati.
L’iniziativa di Samuel Paty aveva suscitato proteste da parte dei genitori di alcuni allievi musulmani. Soprattutto, si era scatenato sui social un vero e proprio linciaggio del professore, con tanto di fatwa e minacce di morte. A metterle in atto è stato un ragazzo ceceno, Abdoulakh Abouyezidvitch, 18 anni, rifugiato in Francia con i genitori, conosciuto alla polizia per piccoli delitti ma non per vicinanza agli ambienti islamisti, ed estraneo all’istituto dove insegnava Samuel Paty.  Venerdì 16 ottobre il giovane si è recato a Conflans, ha atteso il professore all’uscita della scuola, lo ha aggredito per strada e accoltellato alla gola con una lama affilatissima lunga 35 centimetri. Poi, davanti ad alcuni testimoni terrorizzati, si è accanito fino a staccare la testa, gridando Allah Akhbar. Infine ha fotografato il cadavere con il cellulare ed è scappato a piedi. Raggiunto dai poliziotti  alcune centinaia di metri più in là, è stato abbattuto con dieci pallottole (non si capisce perché gli agenti non abbiano tentato soltanto di ferirlo per catturarlo vivo). Prima di morire aveva avuto il tempo di diffondere su Twitter la foto della testa mozzata con insulti alla vittima e minacce al presidente francese: «Da Abdoulakh, il servitore di Allah, a Macron il dirigente degli infedeli: calma i suoi simili (quelli della vittima, n.d.r.) altrimenti vi infliggeremo un duro castigo ».
È una tragedia senza precedenti quella che si è consumata a Conflans. Dopo la strage del 7 gennaio 2015 e i 12 morti alla redazione di Charlie Hebdo, dopo l’attacco con la mannaia, il 25 settembre scorso, davanti agli ex uffici del settimanale satirico, è la scuola, l’istituzione di cui è più fiera la République, che viene presa di mira. «Non è un caso che sia un insegnante a cadere», ha dichiarato il presidente Macron, «quel terrorista ha voluto colpire la Repubblica nei suoi valori, ossia la possibilità di fare dei nostri figli dei cittadini liberi, da qualunque luogo provengano e a qualsiasi religione appartengano».
Diciassette anni dopo il varo della legge che proibisce i simboli religiosi (anzitutto il velo islamico) nelle scuole francesi, è proprio l’istituzione scolastica che torna al cuore dello scontro. Da  tempo gli insegnanti denunciano la difficoltà di parlare di temi come l’Olocausto, gli attentati dell’11 settembre, la laicità, nelle classi di certi quartieri (soprattutto nelle sterminate banlieues che assediano Parigi) senza rischiare reazioni negazioniste o addirittura minacce. D’altro canto, ci sono famiglie “radicali” che preferiscono togliere i figli dalle scuole pubbliche per educarli a casa o in scuole coraniche semi clandestine.
L’inchiesta dirà se la tragedia sia da imputare solo a un fanatico oppure se il ragazzo ceceno sia stato indottrinato e/o aiutato da complici. Le autorità hanno deciso di riesaminare uno per uno i fascicoli degli islamisti schedati e, nel caso, di espellerne alcune centinaia. Il ministro degli Interni ha ordinato la chiusura della moschea di Pantin (periferia Nord di Parigi) il cui imam aveva ritrasmesso i messaggi di minacce al professore assassinato. Macron ha promesso di agire con la massima severità contro coloro che  vogliono creare divisioni in seno alla Repubblica che è e deve rimanere indivisibile. E ha ammonito: «E’ ora che la paura cambi lato». Ma l’opinione pubblica è scettica, non crede alla possibilità di sradicare il fanatismo. E cresce, con ogni giorno che passa, la sensazione che la République, stretta tra i due fuochi del terrorismo e del virus, non sia mai stata tanto in pericolo come oggi.
Paolo Romani
Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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