CORTE SUPREMA: GINSBURG O BARRETT, RESTA LA STORTURA

corte supremaLa sede della Corte Suprema a Washington.

Come spesso accade, le scelte di Donald Trump vengono sezionate con l’accetta, producendo un gran numero di luoghi comuni. Non ha fatto eccezione la candidatura di Amy Coney Barrett, 47 anni, a giudice della Corte Suprema in sostituzione di Ruth Bader Ginsburg, scomparsa all’età di 87 anni dopo una lunga malattia. Ecco che arriva l’ultra-cattolica, l’antiabortista, la conservatrice. Il tutto letto in opposizione alla biografia e all’esperienza di giurista della Ginsburg, che per decenni (già molto prima di arrivare alla Corte Suprema nel 1993, nominata da Bill Clinton) ha segnato la politica e il costume degli Stati Uniti con le sue battaglie per la parità di diritti tra uomini e donne.

Nel 1973, ovvero lo stesso anno in cui la Corte Suprema emetteva la storica sentenza “Roe vs Wade” con cui si stabiliva, in sostanza, il diritto all’aborto, la Ginsburg sfidava, vincendo la causa, le istituzioni della North Carolina per difendere i diritti di Nial Ruth Cox, una madre di due figli sottoposta a sterilizzazione coatta nell’ambito di un programma indirizzato alle persone “mentally defective”.

È chiaro che la campagna per la presidenza Usa incoraggia le generalizzazioni, anche quelle più grossolane. Ma non si dovrebbe dimenticare un semplice fatto: le battaglie che Ruth Bader Ginsburg conduceva avevano per obiettivo la piena parità di diritti e l’autodeterminazione della donna. Ovvero, perché la donna potesse decidere liberamente, per esempio, di non abortire, come appunto ha fatto Amy Coney Barrett con il figlio disabile che le è nato, o di dividere con il marito i compiti di cura della famiglia, che nel caso dei Barret vuol dire sette figli, due dei quali adottati. Sarebbe curioso se le battaglie per la liberazione della donna dalla sudditanza alle regole del mondo maschile si tramutassero in battaglie per una nuova forma di costrizione della donna.

L’aspetto che dovrebbe preoccupare gli osservatori non sta nella biografia personale del nuovo giudice (è molto difficile, se non impossibile, che il Senato, a maggioranza repubblicana, non approvi la candidatura della Barrett) ma nell’uso strumentale che intende farne Donald Trump. Il Presidente ha già manifestato, in diverse dichiarazioni, la convinzione che i Democratici cercheranno di truccare il voto e ha ribadito l’intenzione di contestare fino all’ultimo un eventuale risultato negativo. Questo significa una cosa sola: cause legali nei tribunali di ogni ordine e grado, fino appunto alla Corte Suprema.

Non dimentichiamo che già nel 2000 fu la Corte Suprema, di fatto, a mandare George W. Bush alla Casa Bianca, assegnandogli con la sentenza “Bush vs Gore” i voti dei della Florida e, con quelli, la vittoria finale. Ma non solo. Richard Hasen, professore di Scienze politiche all’Università della California, ha calcolato che le cause legali legate alle elezioni presidenziali (dalle Corti di Stato in su) sono state nel 2016 il triplo di quello che furono nel 2000, quello appunto di “Bush vs Gore”. E che il 2020 promette di stabilire un nuovo record, con un gran numero di questioni destinate ad approdare davanti ai giudici della Corte Suprema.

Con la nomina della Barrett, il supremo organo giudiziario degli Usa avrà una maggioranza di 6 a 3 a favore dei repubblicani. Quando manifesta tale disponibilità a litigare e contestare il risultato del voto del 3 novembre, Trump rivela una convinzione: che la Corte Suprema a maggioranza repubblicana sarà disposta a dargli comunque ragione, a prescindere dai fatti e dalle leggi.

Il che rivela un’altra enorme stortura del sistema politico americano. Tutti i giudici “progressisti” che siedono nella Corte sono stato nominati da presidenti democratici. Tutti quelli “conservatori” da presidenti repubblicani. Il che fa ovviamente pensare ai cittadini che possa esistere una Giustizia dei Democratici e una dei Repubblicani, il che è un’aberrazione intellettuale e, come svelano le dichiarazioni di Trump e i pensieri facilmente intuibili dei suoi predecessori democratici (che a loro volta nominarono candidati favorevoli ai loro orientamenti), una manovra politica poco nobile.

Fulvio Scaglione

Pubblicato in Famiglia Cristiana.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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