ISRAELE E IL MEDIO ORIENTE IN MARCIA

Bisogna essere dei sognatori per credere che l’assalto all’ambasciata d’Israele al Cairo sia stato una deriva “spontanea” e “imprevista” della manifestazione convocata in piazza Tahrir per chiedere al Consiglio militare che regge l’Egitto di far piazza pulita del vecchio regime di Mubarak. Ma non meno sognatori bisogna essere per pensare che la “primavera araba”, con tutte le sue contraddizioni, non ponga a Israele problemi che solo fino a un certo punto hanno a che fare con l’estremismo islamico e la vocazione antisemita di Hamas.

La folla assalta l'ambasciata di Israele al Cairo.

Gli episodi sono ormai troppi. La morte delle cinque guardie di frontiera egiziane, il 18 agosto, uccise dai soldati israeliani nella reazione agli attentati contro Eilat. Tre giorni dopo, il 21 agosto, l’anteprima dell’assalto all’ambasciata, con il manovale Ahmad Shehat che sostituisce la bandiera di Israele con quella dell’Egitto. Poi l’interruzione dei rapporti commerciali decisa dal premier turco Erdogan a causa del rifiuto di Israele di scusarsi per gli 8 cittadini turchi uccisi sulla nave che, il 31 maggio 2010, cercava di rompere il blocco navale su Gaza. Quindi l’interruzione della collaborazione militare tra Turchia e Israele, che per la prima volta porta un Paese della Nato (quello con il secondo esercito dell’Alleanza, 700 mila uomini) a congelare le relazioni con lo Stato ebraico. Una mossa che costa a Israele un miliardo e mezzo di dollari l’anno in esportazioni, una partnership strategica e l’accordo di libero scambio firmato con la Turchia (primo Paese islamico a farlo) nel 2000.

Il 20 settembre, infine, il presidente palestinese Abu Mazen dovrebbe consegnare all’Onu la richiesta di adesione dell’autoproclamato Stato di Palestina, e poi chiederne la ratifica al Consiglio di sicurezza. Gli Usa, forse non da soli, metteranno il veto. Ma i Paesi della Lega Araba e molti altri sono a favore. Dunque la bilancia non si sposterà di una virgola e questo, nel fermento della regione, non pare una gran vittoria per Israele.

Come sempre in Medio Oriente, oltre alla partita ci sono i giochi e giochini dei protagonisti. Con la sua intransigenza, Erdogan prosegue (dopo la lezione inflitta ai generali) la campagna presso l’elettorato islamico, dentro e fuori la Turchia, e ribadisce con forza lo status internazionale cui la Turchia ambisce. Abu Mazen non cava nulla dalle trattative con Israele e prova a rovesciare il tavolo, senza valutare il rischio di un’esplosione di violenza dopo che la mossa all’Onu apparirà per ciò che è: una provocazione senza benefici pratici. I militari che governano l’Egitto nicchiano, reprimono le manifestazioni (3 morti dopo l’assalto all’ambasciata) ma aprono il confine con Gaza. Sembrano lo specchio delle plurime impotenze di Obama.

Nondimeno, l’attuale Governo di Israele pare privo di una proposta politica che non sia dire no a tutto: allo Stato palestinese, al blocco degli insediamenti, al ritorno nei confini del 1967, a una vera trattativa (quella in corso è una farsa), a una qualunque novità. La “primavera araba” l’ha colto di sorpresa, con l’unica strategia di augurare lunga vita ai tiranni: all’inizio Mubarak, poi anche il siriano stragista Assad. Un po’ poco per il rivolgimento di 350 milioni di arabi, anche se il premier Netanyahu fa di tutto per non inasprire la crisi con Egitto e Turchia. L’estremismo islamico è ancora un grave problema ma si rischia di più a star fermi mentre tutto si muove. La revoca del Trattato di pace con Israele del 1979 è una richiesta tipica dei salafiti egiziani. Ma l’assalto all’ambasciata è partito da una manifestazione di 27 movimenti laici e “di sinistra”. Che si somiglino, ecco il vero pericolo.

Pubblicato su Avvenire dell’11 settembre 2011

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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3 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    E’ vero che Israele appare paralizzata e indecisa di fronte agli avvenimenti. Credo che la debolezza dell’America e le impotenze di Obama abbiano una parte di rilievo. Intanto Erdogan con ogni evidenza aspira a un ruolo di leadership del mondo musulmano (e l’entrata in Europa? questione accantonata mi pare, la Turchia è in crescita economica, l’Europa in crisi…), essendo a differenza di altri (Iran) più presentabile all’Occidente. Presto andrà a Gaza, e adesso già avanza pretese assurde sul petrolio trovato nel mare da Israele, accampando i diritti del Cipro del Nord (!), con quale legittimità si può ben comprendere. Per non dire della reazione al rapporto dell’Onu che ha chiarito che il blocco di Gaza è legittimo per le leggi internazionali. Quanto all’Egitto e alla primavera araba: l’aspirazione alla libertà è connaturata agli uomini, però il problema di base è il pane e l’economia, altrimenti della libertà cosa farsene? Colpisce che gli egiziani in queste manifestazioni siano tornati ai tempi di Nasser quanto ad approcci isterici e fantizzati di massa sostitutivi del lavoro e del pane, tanto più se è vero che l’assalto è stato organizzato da movimenti laici e di sinistra. Che dire? SI vede bene che la potenza militare non basta a Israele, e che errori di valutazione e scarso livello di ministri come Lieberman fanno il resto. Ma come non essere sempre e comunque per Israele, sempre più avvicinata da nuvole oscure?

  2. claudio said:

    Il talmud insegna che e’ non si deve parlare quando non si verra’ ascoltati, per questo israele resta in silenzio, ma tutto quel che sta accadendo non e’ una sorpresa per israele, la primavera araba non e’ un movimento volto a portare democrazia e rispetto per la pace, per il semplice motivo che i paesi arabi non hanno mai investito nella pace, chi oggi ha 30 anni e’ cresciuto sentendosi dire nelle scuole che israele non esiste, in televisione ha solo sentito dire che gli ebrei amano uccidere i bambini arabi e che gli occidentali li appoggiano, e quello che gli raccontano in moschea e’ ancora di piu’ di questo.
    con l egitto e la giordania non c’e’ mai stato un accordo di pace ma un accordo prevalentemente militare(in egitto e’ vietato anche tradurre libri dall ebraico all arabo), questo vuol dire che e’ solo questione di tempo, quando si sentiranno di nuovo forti riattaccheranno.
    in israele in pochi hanno dubbi in proposito.

  3. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,
    (con tante scuse per il ritardo), il problema è chiarire che cosa vuol dire “essere sempre e comunque per Israele”. Dar sempre ragione a Israele? O, cosa ben diversa, difendere sempre e comunque il diritto di Israele a esistere? Il punto è che, belle o brutte che siano, ci piaccia o no, le rivolte della primavera araba stanno cambiando il quadro politico del Medio Oriente. Mentre l’unica proposta che arriva da Israele è: non cambiare niente, non fare niente.
    A me pare che questo (e così provo a rispondere anche a Claudio) sia un vero suicidio politico. A prescindere dai sentimenti degli arabi. Perché il vero problema di fondo è: Israele è uno Stato del Medio Oriente? O è un pezzo di Europa incastonato in Medio Oriente? Nel primo caso, è immaginabile uno Stato che non abbia rapporti normali con tutto il resto della regione? Nel secondo, quale miglior conferma della natura coloniale che gli arabi attribuiscono appunto allo Stato ebraico? E’ per risolvere questa ambiguità, secondo me, che gli Usa e l’Europa dovrebbero spendere la loro influenza.
    Ciao Fabio, ciao Claudio, a presto

    Fulvio

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