PUTIN PRIVATIZZA. MA NON E’ COME ELTSIN

La Russia torna a privatizzare. Con  questo slogan molti giornali si sono lanciati in arditi paragoni tra le privatizzazioni varate da Boris Eltsin negli anni Novanta (due grandi ondate: 1992 e 1996) e quelle approntate oggi dal duo Putin-Medvedev. Per dirla tutta, con quelle di Eltsin queste c’entrano come i cavoli a merenda. E vediamo perché.

Uno degli uffici della Borsa di Mosca.

Uno degli uffici della Borsa di Mosca.

Nel 1992 le privatizzazioni furono realizzate con la cosiddetta “voucherizzazione”, cioè con la distribuzione a ogni cittadino, neonati compresi, di “buoni” del valore di 10 mila rubli (allora 60 dollari circa) ciascuno. Ovviamente quei “buoni” fecero le fini più diverse: venduti subito per un po’ di vodka, messi sotto il materasso e rosicchiati dall’inflazione, venduti al miglior offerente, ramazzati da chi aveva il contante per farlo. Disguidi e abusi? A migliaia. Ma la “voucherizzazione” serviva per reintrodurre  l’idea e la pratica della proprietà privata in un Paese che l’aveva demonizzata per 74 anni, e in questo senso funzionò.

Nel 1996, invece, il meccanismo scelto fu quello dei “prestiti per azioni”. In cambio di azioni di grandi gruppi industriali, gli “oligarchi” prestavano denaro allo Stato russo, che gliel’avrebbe restituito passata l’emergenza. In teoria, perché la restituzione non avvenne e gli “oligarchi” si tennero le aziende. Anche qui, abusi a non finire. Resta però il fatto che gli “oligarchi”, da Potanin a Khodorkosvkij, da Abramovic a Berezovskij, hanno fatto marciare le compagnie di cui s’impossessarono per un prezzo a volte ridicolmente basso. Compagnie che erano una potenziale ricchezza per lo Stato ma, nella pratica, uno sprofondo di perdite per l’incompetenza e la corruttibilità dei manager di Stato ereditati dai tempi dell’Urss.

Adesso, come si diceva, la Russia torna a privatizzare. Il programma del ministro della Finanze Kudrin prevede di riportare il

Aleksej Kudrin, ministro delle Finanze della Federazione russa.

Aleksej Kudrin, ministro delle Finanze della Russia.

bilancio federale in pari per il 2015. Per riuscirci (teniamo conto che il Pil della Russia è crollato dell’8% nel 2009, soprattutto a causa del calo del prezzo di gas e petrolio), vuole ottenere, appunto con le privatizzazioni, 23 miliardi di euro da qui al 2013. Nella lista delle aziende in cui dovrebbero entrare gli investitori privati ci sono vere istituzioni dell’economia russa: Sberbank (la Cassa di Risparmio), Rosneft (un gigante del petrolio), Transneft (la società che gestisce gli oleodotti), Rushydro (produttore di energia elettrica) e così via. Si era parlato anche di Rzd (le ferrovie di Stato, le più grandi al mondo, 1,3 milioni di dipendenti), ma era solo una voce di corridoio.

Ma il problema non è quali aziende entreranno nella nuova serie di privatizzazioni. Il problema è: perché Putin, che negli anni scorsi ha fatto di tutto per riportare i settori-chiave dell’economia sotto il controllo dello Stato, fino a sbattere in galera chi resisteva come il petroliere Khodorkovskij e costringere all’esilio un potente come Berezovskij, dovrebbe ora far marcia indietro e far entrare nel salotto buono quegli speculatori che detesta? Infatti non è così. Tutte queste privatizzazioni hanno un limite: nessuna azienda potrà cedere a privati più del 30% del capitale azionario. Il che, in parole povere, significa che i privati porteranno denaro fresco, ma le leve del potere resteranno sempre nelle mani dei manager nominati dal Cremlino.

Voi comprereste, in queste condizioni? Vi fidereste della bontà d’animo di Putin? La mia sensazione è che questo programma di privatizzazioni sia soprattutto uno specchietto per le allodole, una verniciata di liberismo decisa mentre gli analisti del Governo russo già prevedono una ripresa dell’economia. La Borsa ha reagito con una serie di rialzi agli annunci, mentre nel secondo trimestre del 2010 il Pil russo è stato del 5,4% più alto di quelo dello stesso periodo dell’anno scorso. In ogni caso, non facciamo paragoni con Eltsin, morto nel 2007. Il vecchio Boris era un pasticcione  innamorato del potere ma non gli mancava il coraggio, soprattutto quello di prendere decisioni che tutti gli avrebbero rimproverato ma che il tempo avrebbe rivalutato.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    Caro Fulvio, correggimi se sbaglio: Eltsin ebbe il coraggio di affidare la ripresa economica dell’ex-Urss al manipolo di spregiudicati ma efficaci oligarchi, ma sul finire della sua storia politica ne divenne in un certo senso ostaggio, anche per la sua personale decadenza fisica (abuso di alcool, ecc). Gli oligarchi coscienti della loro potenza, pretendevano di intervenire più o meno direttamente sulla gestione politica, ma arrivò Putin che ne stoppò le ambizioni, costringendo all’esilio (Berezovskij) o arrestando (Khodorkovskij). Mutatis mutandis, non c’è qualche analogia dell’ascesa degli oligarchi con la vicenda nostrana di Berlusconi?

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,
    mah, forse sì, non ci avevo mai pensato. A parte le circostanze storiche ed economiche, la grande differenza sta forse nel fatto che Eltsin era un politico-politico (era stato segretario del Pcus di Ekaterinenburg prima di essere chiamato a Mosca e all’apparato centrale) mentre Berlusconi, prima di entrare in politica, era stato a sua volta un “oligarca” al seguito di un politico (Craxi).
    Ciao, a presto

    Fulvio

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