ITALIA NUCLEARE 3: CERTO, LE SCORIE…

E le scorie? Alla fine di questa ricognizione del nucleare prossimo venturo, o anche solo ipotetico (ma non proprio la fine: sono debitore di una risposta a Enrico sul mercato dell’uranio), siamo rimasti con una montagna di detriti più o meno radioattivi di cui non sappiamo bene che fare. Sui costi e sui volumi qualcosa ho già scritto nel post precedente.  Qui vale la pena notare che si tratta di una delle tante questioni (vedi il riscaldamento globale)  su cui il parere di esperti parimenti qualificati può divergere radicalmente. Prevalgono i pessimisti, sono pugnaci gli ottimisti ma, se devo dire la mia di pro-nucleare moderato, una spiegazione convincente del fatto che sapremo che fare di tutta quella roba non penso di averla trovata.

 
   RifiutiNucleari  

   Per prima cosa: quanto sono pericolosi questi rifiuti? La valutazione si fa dividendoli in tre categorie: a bassa attività (o di 1° grado), che formano il 90% del volume dei rifiuti e l’1% della radioattività; a media attività (2° grado), circa il 7% i volume e il 4% in radioattività; e ad alta attività (3° grado), pari al 3% del volume e al 95% della radioattività. Fin qui, tutti d’accordo. Poi scoppia la rissa. I pessimisti sostengono che la radioattività dei rifiuti di 2° grado durerà almeno 3 secoli e quella del 3° grado almeno qualche migliaio di anni (ma forse milioni): un’eredità micidiale per centinaia e centinaia di future generazioni. Gli ottimisti dicono invece che per il 1° e il 2° grado non c’è problema, un sacco di Paesi (dalla Spagna alla Svezia) già li trattano in superficie senza alcuna difficoltà. Per i rifiuti di 3° grado fanno notare che sono sì pericolosi, ma anche assai poco voluminosi: quindi è del tutto possibile chiuderli in contenitori del tutto ermetici (rame o acciaio inossidabile) e seppellirli sotto terra in formazioni di sale, argilla o granito, dove dormirebbero tranquilli nei secoli. Terremoti, infiltrazioni, smottamenti? Nulla di cui preoccuparsi, i “bidoni” resisterebbero. E poi, le future generazioni saranno tecnicamente così evolute che ciò che per noi oggi è un assillo, domani sarà una cosa da ragazzini.

     

La struttura di un ipotetico deposito sotterraneo di stoccaggio dei rifiuti nucleari.

La struttura di un ipotetico deposito sotterraneo di stoccaggio dei rifiuti nucleari.

      E’ certo, comunque, che le centrali nucleari producono rifiuti almeno in parte pericolosi (nel 2005, a livello mondiale, erano calcolate in 270 mila tonnellate di “roba”) e ai quali occorre trovare una sistemazione. Al momento, le sistemazioni praticate in tutto il mondo (a parte le ipotesi più o meno fantascientiche come smaltirle sotto i fondali marini o spararle sul Sole) sono di fatto solo due: lo stoccaggio e il trattamento. Dello stoccaggio si è detto: diversi Governi italiani hanno a lungo cercato il “sito unico nazionale” in cui scaricare i rifiuti radioattivi. Credevano di averlo trovato nelle miniere di sale di Scanzano Jonico, ma la protesta della popolazione, nel 2003, mandò a monte tutti i piani. Anche l’Unione Europa ha cercato il proprio “sito unico”, una specie di cooperativa a disposizione degli Stati membri, e non l’ha trovato. Ci sono però centri di stoccaggio (e in pochi casi anche di trattamento) in Spagna, Francia, Gran Bretagna, Svezia, Finlandia. Gli Stati Uniti, come detto, ne hanno da poco costruito uno enorme sotto il Monte Yucca, nel Nevada.

    

L'impianto di trattamento dei rifiuti nucleari di Sellafield (Gran Bretagna).

L'impianto di trattamento dei rifiuti nucleari di Sellafield (Gran Bretagna).

      Quando andò a monte l’idea di Scanzano, il Governo italiano decise di spedire quasi 300 tonnellate di rifiuti in Francia, per periodo di stoccaggio e riciclaggio. Proprio in Francia (La Hague) e in Gran Bretagna (Sellafield), infatti, esistono i soli due impianti europei per il trattamento delle scorie nucleari. A Sellafield andai a fare un servizio per Famiglia Cristiana alcuni anni fa e trovai l’ambiente che sempre circonda impianti di questo genere: gente incazzata, comunità convinte di avere un’incidenza di tumori sopra la media, paesi che si svuotano e così via. Ma questo ora non c’entra. L’idea alla base del riciclo, per dirla in termini assai generali, è di separare plutonio e uranio dagli altri scarti e riutilizzarli sotto forma di  combustibile rigenerato (cd Mox) in un nuovo ciclo di produzione di energia. Pare che in tal modo si risparmi anche il 20%.

      Ovviamente non è così facile. In primo luogo, il processo è costoso. Poi, essendo pochi i centri per la lavorazione (un terzo impianto è in Giappone, gli americani hanno chiuso da tempo i loro), il materiale radioattivo dev’esser trasportato qua e là, con evidente soddisfazione delle popolazioni che si vedono passare certi treni blindati per le campagne. Infine, c’è il problema del plutonio. Separarlo dal combustibile esausto non è difficile; quindi non è difficile procurarsi l’elemento base per la bomba atomica. India, Israele e Corea del Nord sono arrivati così all’arma nucleare, e il mondo sta cercando di impedire che ci provi anche l’Iran. Con pochi chili di plutonio si fa ua bomba e nel mondo ci sono già 1.800 tonnellate di plutonio accumulate nei depositi di questo o quel Paese.

      Gli esperti veri, non quelli come me, saprebbero anche dire che il combustibile Mox è fatto appunto di una “miscela” di uranio e plutonio, il che consentirebbe di smaltire almeno in parte le riserve di plutonio e quindi ridurre il rischio di proliferazione del nucleare militare. Ma direbbero forse anche che questo vale soprattutto per i reattori di quarta generazione, mentre nel prossimo futuro il parco reattori mondiale verrebbe incrementato ancora con reattori di terza generazione o di terza generazione avanzata. Resta il fatto che una risposta davvero tranquillizzante, sul problema delle scorie, secondo me ancora non c’è. Se faremo le centrali, dovremo soprattutto fidarci dei tecnici e dello sviluppo scientifico delle prossime generazioni.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. Enrico Usvelli said:

    Tu dici, e io condivido, che una risposta tranquillizzante sulle scorie ancora non c’è. Si deve sperare nello sviluppo scientifico delle prossime generazioni.
    Ci sono persone così fiduciose che dicono che magari dei depositi di scorie, di cui noi ci preoccupiamo tanto, i nostri nipoti faranno miniere.
    Ed è singolare come queste stesse persone perdano di colpo tutta la fiducia nell’uomo quando si parla invece di eolico e solare. Lì i problemi (che ci sono) diventano di colpo irrisolvibili.
    Ci sarebbe una differenza secondo me non trascurabile: se non risolvi i problemi del solare non rischi nulla, se non risolvi quelli del nucleare metti a rischio il pianeta. E mentre la ricerca sul solare la puoi interrompere quando vuoi, quella sul nucleare una volta che hai accumulato tonnellate di scorie la devi mandare avanti comunque. Non mi sembra molto corretto verso le future generazioni.
    A questo punto mi sorge spontanea una domanda. Se le centrali nucleari servono solo a produrre energia elettrica e se presentano tanti problemi, come mai non sostieni eolico e solare (e geotermico)? Col sole che c’è in Italia (specie al Sud) non credi che si riuscirebbe a produrre abbastanza energia? E il vento perchè non sfruttarlo?

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Enrico,
    per quel che vale (non sono un tecnico né uno scienziato, solo un giornalista che scrive anche per chiarire a se stesso le idee) io non “sostengo” il nucleare ma, piuttosto, un sistema misto di nucleare ed energie rinnovabili. Se l’energia elettrica costituisce il 20% circa del nostro consumo energetico, mettere “in sicurezza” (economica, ambientale, ecc. ecc.) questo 20% con il nucleare sarebbe già un buon risultato. Dopo di che, spazio allo sviluppo delle energie rinnovabili e, secondo me tutt’altro che secondario, una decisa sterzata verso stili di vita meno intensivamente cosumatori delle risorse del pianeta.
    Ciao, a presto

    Fulvio

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top