Non è fantastico? Il portavoce della Casa Bianca si è detto “costernato” per il fatto che le autorità municipali di Gerusalemme, d’accordo con il Governo d’Israele, hanno deciso di autorizzare la costruzione di 900 nuovi appartamenti nell’insediamento ebraico di Ghilo, nella parte Est di Gerusalemme. Ampliamento che Barack Obama, poco dopo respinto con perdite dal premier israeliano Netanyahu, aveva chiesto di congelare.
Ma, di grazia: che cosa si aspettavano il buon Obama e i suoi? Due settimane fa, dopo mesi di inutili pseudo-trattative, Hillary Clinton, segretario di Stato Usa, era andata a Gerusalemme e lì aveva detto che il congelamento degli insediamenti illegali non era “una precondizione” per il proseguimento dei colloqui diplomatici. Se le cose stanno così, perché gli israeliani dovrebbero smettere di costruire sulla terra dei palestinesi? E giustamente Netanyahu manda avanti i bulldozer.
Spero che non mi si chieda di ripetere tutto quanto ho detto e scritto infinite volte sull’inaffidabilità dei politici palestinesi, sulla loro miopia politica, sulla facilità con cui si piegano ai desideri del Paese più pronto a pagare, sull’incapacità dei palestinesi stessi (che un tempo esprimevano una classe colta né ridotta né timida) a darsi un personale politico degno di tal nome. Anche Abu Mazen che ora, proprio in vista delle elezioni di gennaio, cerca disperatamente di lucrare sulla fama di “colomba” che lo accompagna e minaccia di abbandonare la politica per spingere gli Usa a tornare sui propri passi, è stato alla fin fine un personaggio deludente. Un sor Tentenna che non ha saputo iniettare nella propria debolezza nemmeno quel poco di coraggiosa disperazione che si richiede a un leader appassionato.
E’ chiaro da tempo, invece, che i leader israeliani hanno individuato, nella tecnica degli insediamenti e nella gestione di un conflitto a bassa intensità, la strategia migliore e meno costosa per perseguire un solo fine: l’espulsione dei palestinesi dalla Palestina. Non è infatti possibile che Netanyahu abbia in mente una soluzione a un solo Stato (ovvero: tutti, arabi ed ebrei, dentro Israele), perché i tassi di crescita demografica condannerebbero gli ebrei a trovarsi minoranza nello Stato ebraico nel giro di un paio di decenni. Altrettanto impossibile è che i palestinesi accettino un trattato di pace che li confini in una specie di bantustan minuscolo rispetto ai confini segnati dall’armistizio del 1967, in più frammentato dalle colonie ebraiche, dai posti di blocco, dalle guarnigioni militari, dal Muro.
Poiché è chiaro a tutti che i palestinesi non potranno mai vincere con la forza delle armi, resta una sola ipotesi: il soffocamento graduale dei palestinesi e la loro espulsione, per via di emigrazione più o meno forzata, per sottrazione di territorio, di acqua e di risorse, per mancanza di lavoro, per assenza di rappresentanza politica. Israele, più forte, più ricco, più intelligente, sta vincendo la partita. Temo, però, che sia una strategia venata di disperazione. Questa non è la vittoria dell’Israele laico e colto, del sionismo venato di ideali socialisti, libertari e umanitari che animò le prime ondate dell’aliya, la “salita” verso la Terra Promessa. E’ piuttosto la vittoria del fondamentalismo religioso e dell’estremismo politico che, come ovunque, amano la forza e le armi. Aspetto sempre di scoprire in quale parte del mondo simili valori abbiamo prodotto società pacifiche e ordinate.
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