BASHIR IN MANETTE E IL DARFUR LIBERO? IN QUESTO MONDO NON SI PUO’

E’ ancora permessa un po’ di brutale sincerità? Se sì, dobbiamo ammettere che l’unico effetto della decisione con cui la Corte Penale Internazionale (www.icc-cpi.int/) ha emesso un mandato d’arresto contro Omar Hasam Ahmad al Bashir è stato quello di raccogliere intorno al sanguinario presidente del Sudan una solidarietà mai vista prima. La Cina e la Russia lo appoggiano, la Lega Araba (22 Paesi) e l’Unione africana (53 Paesi) quasi al completo criticano la Corte, persino Egitto e Sudafrica sono contrari. Un precedente pericoloso, visto che Bashir è anche il primo capo di Stato ancora in carica a finire nel mirino della giustizia internazionale. Gli altri, il liberiano Charles Taylor e il serbo Slobodan Milosevic, erano stati accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità quando già avevano perso ogni potere.

      Sarebbe ingenuo o ipocrita, però, stupirsi di quanto accade. La giustizia internazionale incontra questi problemi perché manca un’idea internazionale, cioè condivisa da un numero congruo di Governi e nazioni, di che cosa sia giusto o ingiusto. Chi può negare che Bashir sia un tiranno massacratore del proprio popolo? Subito dopo la dichiarazione di principio, però, comincia la speculazione politica. La Cina compra in blocco quasi il 70% della produzione petrolifera del Sudan e quindi difende (dopo averlo finanziato e armato) il dittatore. Gli Usa, che delle concessioni petrolifere sudanesi hanno visto solo le briciole, lo vorrebbero invece in manette. Né la Cina né gli Usa, peraltro, hanno aderito al trattato costitutivo della Corte dell’Aja (nelle foto sotto: la bandiera della Corte e Luis Moreno Ocampo, procuratore generale della Corte) ed è quindi lecito chiedersi dove sia, nell’una come nell’altra posizione, quel minimo di idealismo compatibile con l’idea di una giustizia sovrannazionale.

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      Una giustizia valida per tutti presuppone una serie di criteri accettati da tutti e quindi a tutti applicabili. E sono proprio questi a mancare in modo clamoroso, anzi: il doppio standard e l’eccezione fatta su misura per l’alleato sono la regola, anche quando si tratta di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra. Lasciamo stare i pareri di politici e governanti, scendiamo al livello dei giornali. Sul maggior quotidiano italiano, uno pseudofilosofo francese ci ha spiegato in ogni modo che le bombe di Putin su Grozny sono state un crimine di guerra mentre quelle di Olmert su Gaza una legittima difesa. Perché? I terroristi ceceni che attaccavano gli ospedali e le scuole russe devono ritenersi “buoni” e gli artiglieri di Hamas che sparano missili sulle città israeliane al contrario “cattivi”? O forse ammazzare civili ceceni è male e far fuori quelli palestinesi è invece bene? Stessa fonte: il Kosovo ha diritto all’indipendenza (e magari anche il Kurdistan e certo il Tibet) ma non l’Abkhazia e l’Ossetia bombardate dal presidente della Georgia, Mikhail Saakashvili, a sua volta assolto e protetto dagli Usa e dall’Unione Europea. Perché? In realtà non c’è ragione che vada oltre la preferenza per questo o quel Paese, questo o quello schieramento, questo o quel sistema politico.

  In queste condizioni, qualunque provvedimento della Corte Penale Internazionale, anche quello con le più chiare e limpide motivazioni come nel caso del presidente Bashir, andrà fatalmente a scontrarsi con l’opposizione interessata di almeno metà dei Paesi dell’Onu. Una soluzione forse ci sarebbe: che i grandi Paesi occidentali facessero finalmente ciò che dicono, in modo da presentarsi a potenze ciniche come Cina e Russia con una fedina specchiata e inattaccabile. Ma la vita è dura e non ce lo possiamo permettere. Come nel caso del Darfur, con l’Onu (cioè tutti noi) che nel 2005 non ha saputo far di meglio che passare la palla, appunto, alla Corte Penale dell’Aja, chiedendole di indagare su un massacro che già da molti anni era sotto gli occhi del mondo.

Publicato sull’Eco di Bergamo del 6 marzo 2009    http:www.eco.bg.it

 

 

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

2 Commenti

  1. fabio cangiotti said:

    E’ vero: la tribunalizzazione della politica e della storia è destinata al fallimento, nella migliore delle ipotesi fin da Norimberga si obbietta trattarsi della giustizia dei vincitori, inoltre criminali incalliti e recidivi trovano sempre e comunque alleati e protettori interessati. Bombardare non è etico per l’Occidente (comunque Clinton e Bush sono il passato) quindi i Beshir & C possono dormire sonni tranquilli. Sono cinico?

  2. Fulvio Scaglione said:

    Caro Fabio,

    non credo che tu (o io, per dire) sia cinico. Trovo che siano mlto più cinici quelli che fanno finta di non vedere in qualche caso, e hanno occhi acutissimi in altri, specifici, casi. Alla fin fine, la Corte dell’Aja non ha fatto altro che rafforzare Bashir, temo. Bashir che tutti, credo, faremmo sparire volentieri.

    Ciao, ci sentiamo

    Fulvio

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