GHEDDAFI DILAGA, LA LEGA LA PAGA

Impegnato in vicende più serie, mi sono perso la tournée in Italia del Circo Gheddafi. D’altra parte, cavoli, si dovevano festeggiare i due anni del Trattato di Bengasi, volevate non pazziare almeno un poco? Sto invece seguendo con un certo sgomento le convulsioni della Lega Nord, a cui Gheddafi sta mangiando nel piatto. Quel bel piattone chiamato Unicredit, la più grande banca d’Italia, che ha come primo socio italiano (al 4,9%) la Fondazione Cariverona al cui interno è rappresentata l’amministrazione leghista.

Il colonnello Muhammar Gheddafi.

Il colonnello Muhammar Gheddafi.

Succede questo. Un mese fa, la Libia aveva il 5% di azioni Unicredit, detenute dalla Banca centrale di Libia. Ai primi di agosto, però, la Libyan Investment Autorithy (Lia), il fondo sovrano della Repubblica islamica, acquista un altro 2%. Ma non basta: con la venuta di Gheddafi in Italia si intensificano le voci secondo cui il Lia vorrebbe portare la propria quota al 5%. Il bello di tutto questo è che, mentre cambiano i nomi e le cariche sociali, il proprietario di tutto quel ben di Dio azionario sarebbe uno solo: il colonnello Muhammar Gheddafi, padrone allo stesso modo della Libia, dei libici, della Banca centrale di Libia e del Lia. E se l’operazione andasse in porto il buon Gheddafi, col suo 10%, sarebbe in grado di mettere il veto a qualunque operazione non gli fosse gradita.

Quando finalmente i leghisti se ne sono accorti, hanno cercato di correre goffamente ai ripari. Troppo tardi. Ora possono solo sperare nell’intervento della Banca d’Italia e nei poteri di controllo esercitati dal governatore Mario Draghi, fino a ieri considerato un avversario da Tremonti e quindi un “nemico” dai leghisti. Gli uomini di Bossi sono stati così ingenui da credere che quella vecchia volpe di Gheddafi, sopravvissuto a una vita intera di porcherie, si sarebbe accontentato dei 5 miliardi di euro di indennizzo post-coloniale e di un po’ di armi per consentire a Maroni di inscenare la strategia dei respingimenti, che non ha risolto il problema dell’immigrazione clandestina (126 mila irregolari in più nell’ultimo anno), ha condannato migliaia di disgraziati a marcire (avessero o no diritto d’asilo in Italia) nelle carceri del dittatore libico ma fa una gran figura al telegiornale.

Ora Gheddafi passa alla cassa e vuole soldi veri, mica noccioline. E i leghisti non sanno che fare. Il meglio è arrivato da Flavio Tosi, sindaco di Verona e quindi interessato alle sorti di Unicredit-Cariverona. Dice che se non facciamo affari con Gheddafi mica possiamo farli con la Cina. Peccato che qualche anno fa, mica preistoria, fossero proprio i leghisti e Tremonti a insistere perché fossero messi dazi sulle merci cinesi, colpevoli di indebolire l’economia della Bergamasca. Pensate che ideona, se fosse stata messa in pratica: dichiarare una guerra commerciale alla seconda economia del mondo, al Paese che da solo, oggi, tiene a livelli di decenza la crescita economica mondiale.

Quindi la domanda giusta da fare è esattamente quella opposta al ragionamento di Tosi: perché, se ieri non volevate la Cina, oggi ingoiate tutti i desideri di Gheddafi? Tenendo presente anche un altro fatto: a parte la caccia all’immigrato, ciò che abbiamo avuto da Gheddafi è il diritto, per l’Eni, di estrarre petrolio in Libia fino al 2014. Una buona cosa, indubbiamente. Ma il resto, se date un’occhiata ai giornali, è tutto così: Finmeccanica “punta a”, Enel “è interessata a”, Sai “è interessata a”, Confindustria spera nella realizzazione di zone franche, Impregilo si candida alla costruzione dell’autostrada costiera. Per ora speranze, insomma. Di concreto poco.

Per cui la conclusione è questa: in Lombardia dilaga la ‘ndrangheta e gli amministratori leghisti cascano dal pero. Nella finanza veneta dilaga Gheddafi, idem come sopra. In Piemonte la Lega non riesce a farci capire se la Tav ci vuole o no. Scusate, ma per diventare classe dirigente di un Paese moderno ci vuol altro.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Un Commento;

  1. Vanessa Giuliano said:

    Sono una dei ventimila italiani che nel 1970 furono cacciati dalla Libia colpevoli di essere italiani, in violazione
    della risoluzione ONU 388, del trattato Italo-Libico del 1956 e della legge di ratifica 843/57.
    Lo stato Italiano che doveva tutelarci e far rispettare gli accordi ci chiese di avere pazienza perchè i giusti
    risarcimenti dovevano attendere gli accordi internazionali ed intanto i profughi della Libia morivano disillusi e trattati da stranieri nella
    propria patria.
    Nel 2008 il tanto atteso accordo internazionale e la delusione per non esserne stati inclusi, vanificando trentotto anni d’attesa senza nemmeno
    l’ombra delle scuse per come fummo trattati.
    Anche le promesse inserite nella legge di ratifica n. 7 del 6 febbraio 2009, (Gazz. Uff., 18 febbraio, n. 40), dove, all’art. 4, si parla degli indennizzi spettanti a noi profughi. restano ad oggi solo promesse non mantenute, di un indennizzo che forse arriverà a qualche percento del valore dei beni confiscati illegalmente nel 1970.
    SONO DUE ANNI CHE MANCA SOLO UNA FIRMA PER DARE IL VIA ALL’ITER, QUELLA DI GIULIO TREMONTI.
    Da cittadini italiani rispettiamo leggi che il parlamento promulga e il capo dello Stato ratifica ma con profonda amarezza vediamo che lo Stato può impunemente ignorarle perché nessuno le fa rispettare nell’indifferenza dei mezzi d’informazione e delle istituzioni.

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