ITALIA – FRANCIA, IL DERBY SI GIOCA IN LIBIA

Tra la crisi della Libia e la guerra civile che la sconvolge, da un lato, e la reazione internazionale dall’altro, c’è una specie di sfasamento spazio-temporale. Di là le cannonate, di qua un muoversi come di sonnambuli, goffo e ritardato. Ci sono volute settimane per partorire la famosa Risoluzione 1973 dell’Onu e autorizzare la no fly zone e l’intervento in soccorso degli insorti libici e della popolazione. Ora, quando siamo appena nel quarto giorno di operazioni, la lite Italia – Francia e la polemica sul ruolo della Nato.

Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi.

Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi.

Prima ancora che nelle pieghe dei documenti e delle risoluzioni, il comando unico Nato nelle operazioni contro la Libia di Muhammar Gheddafi sta nella natura della missione sancita dall’Onu e, soprattutto, delle ragioni per cui essa è stata lanciata. Il Colonnello dispone ancora di uomini, mezzi e volontà più che sufficienti per realizzare i propositi di spietata vendetta più volte annunciati., e le centinaia di morti di ieri a Bengasi e a Misurata lo dimostrano. Se un’efficace missione umanitaria dev’essere, Odissey Dawn necessita di ben altre risorse rispetto a quelle finora impiegate. Risorse che solo la Nato, e non certo una coalizione improvvisata, posticcia e litigiosa, può garantire se si vuole che la no fly zone sia davvero tale, che l’embargo alle armi in arrivo alla Libia sia impenetrabile, che il maggior numero possibile di vite sia salvato.

Ma non c’è solo questo. Un comando Nato è necessario, e bene ha fatto il nostro Governo a chiederlo, anche per sgombrare il campo da ambizioni nazionali improprie e speculazioni politiche pericolose. C’è chi, come l’Italia, teme di trovarsi non tanto in prima linea in questa operazione ma isolata al momento di raccogliere i cocci dell’attacco a Gheddafi (cocci enormi, difficili, come l’arrivo dei profughi e dei migranti, dei quali gli altri Paesi d’Europa si lavano le mani), e chi, come la Francia, spera di lucrare posizioni strategiche nel Maghreb liberato dal Colonnello e radicalmente mutato dalle rivolte in Egitto e in Tunisia. Diventa facile, in questo clima surriscaldato, dimenticare che portiamo tutti insieme una responsabilità collettiva nei confronti di milioni di maghrebini che, rischiando la vita per chiedere più democrazia e cacciare i dittatori, hanno almeno in parte investito sui nostri valori e sul nostro esempio.

Il derby Italia – Francia si inserisce bene in questo contesto. Sarkozy ha fatto il galletto e ha sperato di recuperare in Libia il terreno perduto in Tunisia, dove il tiranno Ben Alì, scegliendo la strada dell’esilio dopo anni di ottimi rapporti con Parigi (non dimentichiamo che il ministro degli Esteri Alliot-Marie ha dovuto dimettersi proprio per i suoi rapporti poco limpidi con Ben Alì). Berlusconi ha reagito da par suo, chiamando in causa (giustamente) la Nato per calmare i bollenti spiriti dell’ex amico francese.

Ribelli libici esultano sui resti di un carro armato delle truppe di Gheddafi distrutto dai caccia francesi.

Ribelli libici esultano sui resti di un carro armato delle truppe di Gheddafi distrutto dai caccia francesi.

Nessuna mossa tattica, però, riesce a fugare la sensazione che l’Italia abbia reagito troppo tardi e male all’improvviso cambiamento che si è verificato non solo in Libia ma in tutto il Maghreb. Il Governo Berlusconi aveva investito molto su Gheddafi, eretto a custode dei rifornimenti energetici, controllore dei migranti (in quali ottime mani li respingevamo, vero Maroni?), finanziere delle nostre banche e imprese, committente di appalti vari. Si ha la sensazione che il nostro Governo sia terrorizzato all’idea che il Colonnello possa alla fine spuntarla e farcela pagare. Un giorno siamo interventisti, quello dopo pacifisti. Non vogliamo disturbare Gheddafi quando comincia la crisi e siamo addolorati per lui mentre chiediamo l’intervento della Nato, mica della San Vincenzo.

Nella nostra indecisione sta tutto lo spazio che Sarkozy ha trovato e ha provato a prendersi. L’ultima mossa di Berlusconi solleverà, è facile prevederlo, un po’ di spirito nazionalistico contro il perfido francese. Ma l’iniziativa è ancora di Sarkozy, Nato o non Nato. E non riguarda solo questa missione militare in cui nemmeno si capisce se i nostri aerei volano e sparano o volano e ci pensano sù. L’economia italiana è da tempo sottoposta a una martellante offensiva da parte della finanza francese. Ora il ministro Tremonti ha bloccato la scalata di Edf (Electricité de France) a Edison, e forse resisteremo sul fronte delle merendine Parmalat contro l’offensiva Lactalis. Ma nelle banche, nelle assicurazioni, nei trasporti (Alitalia-Air France), nella grande distribuzione, la penetrazione francese è già avvenuta. Grazie anche alla legge che nel 2006 la Francia ha adottato per proteggere 11 settori strategici della propria economia, legge a cui noi stiamo pensando solo adesso.


Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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