ONU, UNA RIFORMA ALL’ITALIANA?

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Eco di Bergamo – Anche se le prime pagine sono andate all’intervento del presidente ucraino Zelensky e ai duelli verbali con i rappresentanti russi, il tema che dietro le quinte ha agitato l’Assemblea generale dell’Onu è stato quello della riforma dell’organizzazione, in particolare l’aggiornamento degli equilibri all’interno del Consiglio di Sicurezza.

Al momento della fondazione, nel 1945, le Nazioni Unite contavano 51 membri e avevano come supremo organismo decisionale il Consiglio di Sicurezza, formato da cinque membri permanenti con diritto di veto (i Paesi usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale: Usa, Cina, Francia, Regno Unito e Urss poi Russia) più sei membri non permanenti, eletti dall’Assemblea generale con un mandato di due anni non immediatamente rinnovabile. Non è un caso se l’unica vera riforma dell’Onu risale al 1963, quando i Paesi membri da 51 diventarono 117 e i Paesi ammessi al Consiglio di sicurezza da sei passarono a dieci.

Ora i Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite sono 193 e il sistema con cui viene formato il Consiglio di Sicurezza, al netto dei cinque Paesi che vi risiedono in modo permanente, pare assolutamente inadeguato a garantire un’equa rappresentanza a tutte le aree del pianeta. I membri non permanente del Consiglio di Sicurezza vengono oggi scelti con questo criterio: tre per l’Africa, due per l’Asia-Pacifico, due per i Paesi del gruppo Occidentale, due per i Paesi dell’America Latina e Caraibi, uno per i Paesi dell’Europa dell’Est. Africa, Asia e America Latina, in particolare, sembrano penalizzate rispetto alla realtà attuale.

Su questo più o meno tutti concordano. È sul rimedio, ovvero sull’eventuale riforma, che i pareri si dividono e le posizioni si allontanano, anche tra Paesi che di solito marciano insieme su questioni fondamentali. Il diritto di veto assegnato nel 1945 a Usa, Cina, Francia Regno Unito e Russia è fuori discussione: per abolirlo o limitarlo questi stessi Paesi dovrebbero votare contro se stessi e rinunciare a un grande potere, cosa che non avverrà mai. Come se non bastasse, e per la delusione del presidente Zelensky, ci sono altri Paesi che sono contrari: la Germania, per esempio, nelle scorse ore ha fatto sapere che vuole una riforma ma non a scapito del privilegio dei magnifici cinque.

Gli Stati Uniti, per parte loro, vorrebbero far entrare nel Consiglio di Sicurezza Germania e Giappone e portare a tre i seggi non solo per l’Africa ma anche per Asia e America Latina. Con un calcolo preciso ed evidente: coinvolgere al massimo livello decisionale Paesi amici, o almeno non ostili, come per tradizione sono i due citati e molti di quelli asiatici o latinoamericani.

Uno dei Paesi più attivi nel tentativo di ridare alle Nazioni Unite non solo prestigio ma anche maggiore efficacia operativa è proprio l’Italia, che da tempo avanza una sua originale proposta che, tra gli Stati presenti all’Onu, ha fatto proseliti. Si tratterebbe di far salire a 26 i membri del Consiglio di Sicurezza, senza aggiungere seggi permanenti ma solo seggi non permanenti, nove dei quali con mandato non biennale ma a lungo termine. Proprio questi seggi più duraturi andrebbero all’Africa (3), all’Asia e Pacifico (3), all’America Latina (2) e a uno Stato europeo. L’intento è chiaro: rendere più democratica e partecipata l’istituzione, dando maggiori poteri ai Paesi emergenti. Ce la faremo?

Fulvio Scaglione
Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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