DRAGHI E MACRON, L’EUROPA SENZA MERKEL

draghiMario Draghi con Emmanuel Macron.
Nei giorni che hanno preceduto l’incontro tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron, la stampa francese si è concessa qualche ironia sulle vicende del maggiore Annamaria Tribuna, la pilotessa dell’aeronautica militare italiana decollata dall’aeroporto di Kabul con un carico di profughi afghani e costretta a una serie di manovre diversive dai colpi d’arma da fuoco che venivano sparati nell’area. Bene, buon segno: vuol dire che i francesi ci prendono sul serio. E hanno ragione di farlo. C’è uno sfondo europeo generale, infatti, che va tenuto in considerazione. In Germania, Paese leader dell’Unione, Angela Merkel sta per uscire di scena e il candidato alla sua successione, Armin Laschet, già governatore della Westfalia, non pare lanciato verso una vittoria clamorosa.

Nel cuore politico del continente, insomma, sta per aprirsi una crisi, se non altro una fase di incertezza, che lascia la Francia senza la sponda cui da tempo cerca di appoggiarsi per trainare una Ue sempre più riottosa di fronte agli impegni internazionali e alle decisioni comuni. In questo preciso momento, l’Italia guidata da Mario Draghi (ovvero da uno dei personaggi con il più solido prestigio in Europa, l’uomo che potrebbe anche diventare presidente della Repubblica) diventa quindi un interlocutore non solo importante ma indispensabile. Per l’Italia, d’altra parte, si profila un’occasione clamorosa per rimontare posizioni in un’Europa che spesso ci ha visti con il cappello in mano o inutilmente aggressivi, quindi facilmente respinti.

Si diceva: impegni internazionali e decisioni comuni. L’Afghanistan è il banco di prova più immediato. Mentre dall’aeroporto di Kabul decollavano aerei pieni di profughi (e l’Italia è il Paese Ue che ne ha evacuati di più, circa 5 mila), un gruppo di Paesi europei insisteva perché venissero rispediti in Afghanistan i profughi che non avevano diritto alla protezione internazionale. Cosa d’altra parte in linea con la dottrina e la pratica europea di poche settimane fa, quando solo il 53% degli afghani richiedenti asilo otteneva una qualche forma di protezione (dati marzo 2021). Una schizofrenia continentale cui si può riparare solo con una leadership comunitaria forte che nessun singolo Paese (forse solo la Germania della Merkel, ma nemmeno sempre) può fornire.

Draghi e Macron hanno di certo affrontato questo tema, che a cascata ne propone altri. Quale capacità di iniziativa politica sa mettere in campo l’Europa? Draghi ha promosso un G20 speciale sull’Afghanistan per settembre e deve scontrarsi con gli interessi diversi di molti Paesi anche più «pesanti» del nostro. La Cina, forte dei buoni rapporti con i talebani, può essere tentata di fare da sola. La Russia chissà. Gli Usa se ne sono appena andati. Anche in questo caso, un tandem Italia-Francia avrebbe migliori possibilità di riuscita, all’insegna di un atlantismo responsabile (dire «critico» sarebbe troppo) e di un europeismo sincero ma senza troppe illusioni. La stessa Francia, per restare all’Afghanistan, ha già provato che cosa voglia dire andare avanti da soli. Ha proposto una «safe zone» intorno all’aeroporto di Kabul, e l’opposizione della Cina nel Consiglio di Sicurezza Onu l’ha presto ridotta a più miti consigli.

E poi via via, senza sosta, perché i temi ormai sono tutti concatenati. Come accogliere e dove sistemare i profughi afghani in Europa? E da lì: come affrontare il tema generale dell’immigrazione e superare la collezione dei precedenti fallimenti? La Francia in gennaio prenderà la presidenza Ue e si avvierà alle elezioni presidenziali, ed è probabile che a quel punto eviti di sostenere proposte troppo avanzate. Bisogna trascinarla adesso, ma la proposta finora in campo è di arrivare comunque a un’intesa per la ridistribuzione dei migranti, come si usa dire «tra chi ci sta». Ma come si sa i Paesi Ue che ci stanno sono sempre meno. Infine: se si vuol contare nel mondo, e affermare un’identità politica, non bisognerebbe forse avere anche una forza di difesa comunitaria?

Insomma, Draghi e Macron si sono ritrovati con un sacco di carne al fuoco. Non tutta era prevista, almeno non in questa misura. Tocca loro ora dimostrare che sanno anche come cucinarla.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 3 settembre 2021

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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