CONGO, UN BUCO NERO PIENO DI DOLLARI

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La Repubblica democratica del Congo è il Paese più ricco al mondo quanto a risorse naturali. Ha immense riserve di oro, diamanti, tungsteno, coltan, cobalto, petrolio, gas e rame per un valore che gli esperti hanno stimato nell’indicibile somma di 24 trilioni di dollari. Anche, se non soprattutto, per questo la sua parte orientale è stata, insieme con il Ruanda, l’epicentro della «guerra mondiale» africana, ovvero della serie di conflitti che prese le mosse nel 1994 dai massacri di hutu e tutsi e che ha fatto almeno cinque milioni di morti. Le guerre, di volta in volta combattute da truppe regolari ruandesi, congolesi, libiche, keniane e ugandesi, hanno generato, e poi lasciato dietro di sé, una scia di movimenti armati che, al riparo delle più diverse motivazioni (il gruppo più corposo sono le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda, hutu che ancora combattono i tutsi annidandosi appunto in Congo), sono nel novanta per cento del tempo semplici predoni che cercano di arraffare con la violenza una scheggia di quelle ricchezze. Che spesso vuol dire bracconaggio di animali selvaggi, legname pregiato e, ancor più, rapimento con richiesta di riscatto.

Questo è il quadro in cui hanno perso la vita, ieri, l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci. Con loro è stato ucciso anche Mustapha Milambo, l’autista. I tre viaggiavano con un convoglio della missione Onu di peacekeeping «Monusco», attiva in Congo dal 2010 e forte di 12 mila uomini, che è stato attaccato a non molta distanza dalla città di Goma, nell’enorme parco naturale del Virunga. Non è ancora chiaro se le autorità locali fossero al corrente delle intenzioni del convoglio, che viaggiava senza scorta su una strada però ritenuta sicura. La dinamica della tragedia farebbe pensare a un tentativo di rapimento di occidentali, una delle «industrie» della zona. I predoni hanno cercato di trascinare con sé gli ostaggi ma sono stati intercettati. L’ambasciatore Attanasio e il carabiniere Iacovacci sarebbero morti nel fuoco incrociato o uccisi a sangue freddo dai rapitori stessi.

L’accaduto ci sconvolge perché ha rubato la vita di due connazionali e di un diplomatico come Attanasio che, ancora giovane, aveva già lavorato in luoghi complicati (la Nigeria, per esempio) e che con la moglie Sadia Zeddiki proprio in Congo aveva fondato un’associazione, Mama Sofia, per aiutare i bambini. Rientra, però, nella crudele «normalità» di quelle terre, che a quanto pare nessuno riesce a pacificare. Abbiamo detto della missione Monusco: i peacekeeper dell’Onu hanno perso finora un centinaio di uomini, quasi tutti indiani o pakistani, ottenendo peraltro scarsi risultati. E gli attacchi come quello di cui stiamo parlando, in quella zona, sono stati negli ultimi anni innumerevoli. Nell’aprile dell’anno scorso, sempre nel Virunga, decine di miliziani delle solite Forze democratiche colpirono un convoglio scortato dai ranger congolesi, facendo sedici vittime. Altri sei ranger sono stati uccisi nel gennaio scorso, sempre in quel parco che del resto, nel 2018, era stato chiuso per otto mesi proprio a causa delle continue violenze.

C’è di mezzo, ovviamente, anche l’impotenza del Governo congolese, che si trova alle prese con problemi assai più grandi delle sue capacità. In questi casi, di solito, s’invoca l’intervento di quell’entità indeterminata e provvidenziale che chiamiamo «comunità internazionale», in genere per scoprire che è già intervenuta (l’Onu, appunto) senza risolvere molto. Il problema è che l’Africa è stata insanguinata da un’infinità di conflitti etnici che dimostrano, come ha scritto Tim Marshall, che «l’idea europea della geografia politica africana non ne rispecchiava la realtà demografica». In altre parole, l’imposizione dello Stato nazione attraverso il colonialismo ha inasprito le rivalità etniche al posto di placarle. E nel cuore dell’Africa c’è appunto quel «buco nero» (ancora Marshall) che si chiama Repubblica democratica del Congo: 105 milioni di abitanti, 200 gruppi etnici, un territorio più vasto di Spagna, Germania e Francia messe insieme che è una miniera a cielo aperto. Ci sono molte ragioni per essere pessimisti ma nessuna buona ragione per restare inattivi. La stabilizzazione dell’Africa, ovvero l’equilibrio demografico, economico e politico del mondo, dovrà prima o poi diventare una priorità.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 23.2.2021

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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