L’Europa discute sul rimpatrio dei cittadini francesi, inglesi, tedeschi, belgi e così via andati a combattere per il Califfato di Al Baghdadi e ora detenuti in Siria (soprattutto nel Rojava curdo) e in Iraq. La Russia di Vladimir Putin, intanto, sta affrontando un problema ancor più particolare e delicato. Quello dei figli dei jihadisti.
Secondo dati di diverse fonti, circa 4.500 cittadini russi (per lo più originari delle Repubbliche del Caucaso) hanno raggiunto negli ultimi anni l’Isis, Al Nusra e diverse altre formazioni del terrorismo islamista. Secondo l’entourage di Ramzan Khadirov, leader della Repubblica di Cecenia da cui sono partiti molti combattenti, almeno 2.000 tra vedove e figli di jihadisti di origine russa vivono ora in prigionia tra Iraq e Siria.
Fonti del Cremlino, invece, nel gennaio del 2017 avevano annunciato che nelle carceri irachene, insieme con le loro madri, c’erano 115 bambini russi di età inferiore ai 10 anni, e altri 8 ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni. Così è partita l’operazione di recupero. Un primo gruppo di 30 bambini è ripartito per Mosca nel dicembre del 2018. Altri 27 bambini hanno ripreso la via della Russia nei giorni scorsi. Ad attenderli le famiglie d’origine dei genitori, e un periodo più o meno lungo di cure psicologiche. Sarà dura, per loro, dimenticare gli orrori vissuti durante la guerra e l’indottrinamento subito al seguito dei genitori jihadisti.
Secondo i portavoce del ministero della Difesa dell’Iraq, i padri jihadisti di questi bambini e ragazzi sono tutti morti negli scontri con l’esercito iracheno, i reparti curdi o sotto i bombardamenti americani. Se l’informazione corrisponde a realtà, la sorte più drammatica tocca ora alle loro madri.
Molto spesso si tratta di ragazze siriane o irachene che hanno dovuto sposarsi per forza. Oppure di ragazze cecene, circasse, ingusce che hanno creduto di partecipare alla guerra santa e sono finite in un buco nel deserto con i loro bambini. Rimaste vedove e prese prigioniere, sono state condannate in prima istanza all’ergastolo. E ora vengono anche separate dai figli che, per la legge irachena, possono stare con le madri in carcere ma solo fino ai tre anni d’età. Uno degli infiniti e assurdi dolori che la follia dei jihadisti ha prodotto in Medio Oriente e altrove.