MOSUL LIBERA SULLA PELLE DEI CIVILI

mosulDonne in fuga in uno dei quartieri periferici di Mosul.

Mosul è stata riconquistata. Dopo tre anni esatti di occupazione, e con una battaglia durata nove mesi, i miliziani dell’Isis sono stati scacciati e la bandiera nazionale irachena è tornata a sventolare sul poco che resta di quella che per secoli e secoli è stata una grande città, un centro multietnico e multi religioso e uno snodo della civiltà mediorientale.

L’evento è stato celebrato da tutti. Giustamente, perché la riconquista di Mosul con ogni probabilità ha inferto all’Isis il colpo decisivo. Da molti, però, con toni trionfalistici che mal si conciliano con la realtà dei fatti. Perché riprendere Mosul è costato assai caro. All’esercito iracheno, ovviamente: nonostante la superiorità numerica (4-5 contro uno), a fine marzo erano già quasi 800 i soldati uccisi e quasi 5 mila quelli feriti (dati comunicati dal generale Joseph Votel, responsabile del Comando unificato americano in Iraq). Ora i comandi iracheni custodiscono con grande e comprensibile riservatezza il dato totale delle perdite. Ma considerando che per tutta la fase finale, la più aspra, dell’assedio si è combattuto in pratica casa per casa, è legittimo pensare che i soldati caduti assai più di mille.

Ma il prezzo più alto l’hanno pagato, com’è ovvio, i civili, agli abitanti di Mosul e dei villaggi circostanti. Secondo AirWars, l’Ong con sede nel Regno Unito che tiene sotto controllo l’esito di tutti i bombardamenti compiuti tra Siria e Iraq, la coalizione guidata da Usa e Arabia Saudita avrebbe ucciso finora almeno 4.354 civili iracheni nel corso di quasi 24 mila incursioni aeree con cui sono state scanciati quasi 90 mila tra bombe e altri ordigni esplosivi.

Ancora più interessante è il dato comparativo offerto da AirWars. I nove mesi dell’assedio di Mosul (ottobre 2016 – luglio 2017) da parte dell’esercito iracheno e della coalizione a guida Usa si sono in parte sovrapposti alla campagna militare dell’esercito siriano e dei russi per rioccupare Aleppo, da loro dichiarata “liberata” verso la fine di dicembre 2016.

In quei nove mesi, i civili uccisi da russi e assadiani sarebbero stati 912, mentre quelli caduti sotto le bombe di americani e loro alleati sarebbero stati 1.081. Il tutto senza che le regole d’ingaggio dell’aviazione americana siano cambiate nel passaggio dalla presidenza Obama a quella Trump, come confermato dal generale Rick Uribe, vice-comandante in capo delle truppe della coalizione, che ha dichiarato: “Abbiamo le stesse regole d’ingaggio, quelle stabilite dalle autorità competenti prima del cambio al vertice dell’Amministrazione”. Il che dimostra con chiarezza, se qualcuno ne avesse ancora bisogno, che in Medio Oriente le “guerre buone” non esistono. E che quando si combatte in una città, sia essa Gaza, Fallujah o Aleppo, si combatte sempre e soprattutto sulla pelle degli innocenti disarmati. Il resto è, appunto, propaganda. Teniamolo presente, perché dopo Mosul tra poco tocca a Raqqa, la “capitale” del Califfato, l’ultimo baluardo rimasto ad Al Baghdadi e ai suoi.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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