C’è qualcuno, dei tanti che per Aleppo parlavano con facilità di “olocausto”, disposto a dare un’occhiata, una sola occhiata, a quanto succede nello Yemen? A quanto da due anni fanno laggiù i nostri amici dell’Arabia Saudita, del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti e del Kuwait (quelli a cui vendiamo armi e forniamo assistenza politica), coadiuvati dall’intelligence militare di Francia, Regno Unito, Canada e Usa? Ai crimini che commettono contro i civili Houthi?
No, non c’è. Se ci fosse avrebbe perlomeno sussultato di fronte a quanto Idriss Jazairy, relatore speciale dell’Onu per i diritti umani e le sanzioni internazionali, ha scritto pochi giorni fa. E cioè, che nello Yemen già distrutto dalla guerra contro gli Houthi più di 21 milioni di persone (82 per cento della popolazione) hanno bisogno di assistenza umanitaria e che 7 milioni rischiano la morte per fame. E che la catastrofe umanitaria, in un Paese che dipende dalle importazioni per il 90 per cento del fabbisogno di cibo e medicine, è generata dal blocco aereo e navale che i sauditi e i loro alleati hanno messo in opera dal marzo 2015. Non a caso Jazairy ha parlato di «carestia generata dalla guerra e scientemente provocata».
Si tratta, com’è evidente, di una strategia. Ovvero: per piegare la rivolta degli Houthi, si affama un’intera popolazione, sperando così di sollevarla contro la corposa minoranza sciita che non vuole arrendersi. Una rappresaglia che sauditi e compagni s’accingono a inasprire ulteriormente, visto che si apprestano a dare l’assalto al porto di Hodeidah, controllato ancora dagli Houthi e snodo centrale delle importazioni dello Yemen. Da lì, infatti, passa il 70 per cento delle importazioni e l’80 per cento dell’assistenza umanitaria.
Per stroncare la resistenza ora si vuole chiudere anche questo varco, che peraltro già lavora a ritmo ridotto a causa dei bombardamenti, nella totale noncuranza rispetto alle vittime civili. E lo si vuol fare proprio mentre sullo Yemen si agita un altro spettro micidiale, quello del colera. In poche settimane, infatti, sono stati segnalati oltre 65 mila casi sospetti e centinaia di casi confermati. Un’epidemia che, se gli aiuti necessari non potranno entrare nel Paese a causa del blocco o non potranno essere adeguatamente distribuiti, rischia di diventare una vera arma di distruzione di massa. Assai più concreta e reale di quelle di cui si fantasticò per trovare una scusa e invadere l’Iraq nel 2003.