PETROLIO A PREZZI STRACCIATI… E CHI CI RIMETTE

petrolioImpianti petroliferi in Arabia Saudita.

Con il petrolio piombato a 85 dollari a barile dopo essere stato a lungo su una media di 103-105, sembrerebbe approssimarsi una stagione felice per un mondo che ancora va a benzina e un’ottima occasione per rilanciare la produzione industriale nel mondo sviluppato, visto che il calo del prezzo comporta un risparmio di 1,8 miliardi di dollari (1,45 miliardi di euro) al giorno. Ma non è tutto oro quel che luccica. Col petrolio al ribasso abbiamo già cercato di vedere chi ci potrebbe guadagnare. Ancora più folta, però, è la lista dei Paesi (e quindi delle economie, e quindi dei cittadini) che ci potrebbero rimettere. In prima fila, ovviamente, i Paesi produttori di petrolio, che quasi sempre sono Paesi assolutamente dipendenti dall’oro nero. Prendiamo la Russia: lo Stato russo ottiene più di metà dei propri introiti proprio dalla commercializzzazione di gas e petrolio. Se gli incassi del petrolio calano, lo Stato ha meno risorse ed è quindi costretto a ridurre le spese (meno servizi) o ad aumentare le tasse. O tutt’e due. La Banca centrale di Russia tra ottobre e novembre ha speso 7 miliardi di dollari per sostenere la quotazione del rublo e frenare l’inflazione. Ma altri dovrà spenderne, perché il budget federale per il 2014 è stato calcolato sulla base di una quotazione del petrolio di 93 dollari a barile, e quello per il 2015 su una quotazione di 95 dollari.

C’è petrolio e petrolio

In questa situazione, e di fronte a dilemmi analoghi, si trovano oggi tutti i Paesi produttori di petrolio. Con qualche differenza, però. La soglia di rischio della Russia, come abbiamo detto, è sui 95 dollari a barile. All’Iran, ottavo produttore per quantità tra i dodici Paesi dell’OPEC, serve un prezzo più alto di 95, perché i suoi costi d’estrazione sono alti e perché la sua economia già fatica sotto il peso delle sanzioni. Ancora peggio va al Venezuela, che anche quando il petrolio era a quota 100 dollari a barile faticava a tenere in piedi il proprio sistema economico. E infatti negli ultimi mesi i disordini a sfondo sociale hanno fatto decine di vittime. Al Venezuela e alla Nigeria occorrerebbe un prezzo sui 120 dollari a barile, cosa che al momento pare inimmaginabile.

E poi, naturalmente, c’è l’Arabia Saudita, il Paese petrolifero per eccellenza. I sauditi ottengono la stabilità dei conti pubblici se il petrolio tiene un prezzo sopra i 91 dollari a barile. Adesso siamo a 85, e la prospettiva realistica è quella di un ulteriore calo. E’ stato calcolato che l’Arabia Saudita, grazie alle immense riserve valutarie accumulate negli anni, potrebbe sostenere un prezzo di addirittura 80 dollari a barile per 2 anni. E molti pensano che stia accettando il gioco al ribasso per due ragioni.

Da un lato è convinta di avere spalle più larghe di altri Paesi produttori di petrolio e quindi concorrenti, come quelli appena elencati: Russia, Venezuela, Iran, Nigeria… Dall’altro, accettando che il prezzo resti basso, l’Arabia Saudita lancia un messaggio anche agli Usa, che stanno diventando autosufficienti quanto a risorse energetiche. Messaggio che suona più o meno così: il prezzo basso rende meno remunerativo anche lo “shale oil” (il petrolio estratto dagli scisti argillosi) americano, quindi avere buoni rapporti con le monarchie del Golfo Persico conviene ancora.

Infatti molti Paesi produttori di petrolio, tipico esempio l’Iran, chiedono all’OPEC una riduzione complessiva della produzione e sono molto arrabbiati con i sauditi, che non ci pensano nemmeno. Resta il fatto che se dovessero “saltare” le economie dei Paesi produttori di petrolio, il mondo vivrebbe una fase di formidabile instabilità politica ed economica: in Europa, Africa, Medio Oriente, America del Sud. Fino a far sospettare che dopo tutto ci costi meno avere il petrolio più caro.

2. fine (articolo precedente: Petrolio a prezzi stracciati. Chi ci guadagna…)

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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