Di fronte alle stragi dei militari e al rischio concreto di una guerra civile in Egitto, molti hanno concluso che la Primavera araba ha solo aperto una porta verso ulteriori conflitti e che la situazione è addirittura peggiorata rispetto ai tempi di Hosni Mubarak. E’ comprensibile che si arrivi a queste considerazioni, ma la situazione è molto più complessa di così.
Intanto, sarà bene ricordare che la cacciata di Mubarak nel 2011 non fu una passeggiata: i morti, allora, furono circa un migliaio. In secondo luogo, i Fratelli Musulmani sono decisi, pronti al sacrificio e bene organizzati ma sono completamente isolati in seno alla società egiziana. Il loro “peso” elettorale, nel 2012, si aggirava intorno al 25%: questo, almeno, fu l’esito del primo turno delle presidenziali. Per spuntarla, e non di molto, su Ahmad Shafiq, ex generale dell’aviazione e ultimo primo ministro (per tre mesi) dell’era Mubarak, Mohammed Morsi ebbe bisogno dei voti dei salafiti e di molti voti dei “liberali”, laici e spesso di sinistra, che temevano un regime militare di nostalgici nel caso avesse vinto Shafiq ed erano comunque (giustamente) inclini a vedere nei Fratelli Musulmani un movimento con forti radici popolari.
Alla base del potere di Morsi, quindi, c’era comunque una coalizione. Sbilanciata nei numeri a favore dei Fratelli Musulmani, ma più composita di quel che sembrasse a prima vista. In un anno di potere, però, Morsi e i suoi hanno mostrato da un lato l’assoluta incapacità di affrontare i problemi dell’Egitto, primo fra tutti il caos economico, dall’altro la tendenza a costruire con ogni mezzo (si pensi per esempio alla Costituzione, approvata in fretta e furia con un referendum organizzato ad arte) un regime autoritario e islamista. A quel punto, salafiti, musulmani moderati, liberali laici, copti… tutti hanno abbandonato Morsi e nei suoi confronti è sbocciato un movimento simile a quello che nel 2011 aveva cacciato Mubarak: interconfessionale, moderato e, soprattutto, come allora appoggiato dai militari.
La differenza, profondissima, è che il regime di Mubarak aveva un’unico vero radicamento col Paese: i militari, appunto. Una volta perso quello, restava un castello di carte facile da scompigliare. I Fratelli Musulmani, invece, hanno costruito il loro consenso in lunghi anni di militanza e di persecuzioneda parte del regime, e in una capillare rete di azioni di beneficenza che ha fatto di loro la più importante organizzazione di intervento sociale. Infine, se oltre un certo limite nessuno era disposto a morire per Mubarak, molti dei Fratelli, come vediamo, sono disposti a morire per Morsi e, soprattutto, per la loro fede.