VIOLA: I SEGRETI DEL MONTE PASCHI

Fabrizio Viola, amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena.

DI FRANCESCO ANFOSSI E FULVIO SCAGLIONE – Pochi giorni fa, per Famiglia Cristiana, abbiamo intervistato Fabrizio Viola, l’amministratore delegato che sta cercando di riportare ordine nei conti del Monte dei Paschi di Siena. Con noi, prima durante e dopo l’intervista, c’era anche David Rossi, responsabile della comunicazione del Monte. Il suo suicidio riporta drammaticamente d’attualità quell’intervista.

Fabrizio Viola, amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena.

“E’ il prezzo che paghiamo alla trasparenza”. Fabrizio Viola, dal 3 maggio 2012 amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, tutto pare tranne che intimorito dalla bufera che si è scatenata intorno alla banca fondata nel 1472 e ora affidata alle sue cure e a quelle del presidente Alessandro Profumo. I derivati, le arditezze finanziarie dai nomi esotici (Alexandria, Santorini, Fresh) e dagli esiti fallimentari, e insomma il buco miliardario lasciato nei conti dalla precedente gestione, di cui tutta Italia discute, gli paiono, anzi, la minore delle questioni: “Una volta messe a posto, e noi lo abbiamo fatto, quelle famose operazioni diventano il problema meno complicato. Tra sei mesi saranno dimenticate. Il problema vero è l’organizzazione della banca, la sua capacità di produrre reddito e di finanziarsi al punto da ripagare i Monti bond”.

Al tempo, però. Per raccapezzarsi in questa storia, occorre un congruo passo indietro. Fino al momento in cui Viola varca lo storico portone medievale di Rocca Salimbeni, sede centrale dell’istituto nel cuore stupendo di Siena.

Dottor Viola, si aspettava di sedere, più che su una poltrona, su una specie di vulcano?

“Che questa banca avesse dei problemi era abbastanza risaputo. E infatti nell’aprile scorso gli azionisti, quelli “vecchi” insieme con quelli importanti nel frattempo subentrati, hanno deciso di avviare una profonda operazione di rinnovamento. Quindi nuovi manager, un consiglio d’amministrazione con 9 nuovi membri su 12 e un nuovo piano industriale, destinato a riportare la banca alla sua vocazione naturale di banca commerciale, rivolta alle esigenze delle famiglie e della piccola e media impresa, radicata sul territorio. Un progetto molto tradizionale, se vogliamo, ma tale da valorizzare i nostri punti di forza. Il Monte è una delle pochissime banche nel mondo a conservare la propria indipendenza da secoli, non è mai passata per aggregazioni o fusioni”.

Ma la molla per cambiare qual è stata?

“Se uno guarda i bilanci degli ultimi tre anni, si accorge che la banca non guadagna appunto da tre anni. E i risultati che ha fatto, li ha fatti con operazioni straordinarie, quindi non ripetibili. Altra molla: nel settembre 2012 l’Eba (l’Authority delle banche europee) ha avviato una verifica su 90 banche per valutare la loro dotazione patrimoniale rispetto a certi criteri. E’ risultato che il Monte mancava di capitali per circa 3,3 miliardi, tutti riconducibili a minusvalenze sui titoli di Stato. Da qui l’idea di cambiare in modo netto. Tra le tante cose che a quel punto abbiamo fatto c’è stato anche esaminare con attenzione il portafoglio finanziario, che ci è parso subito complicato e di scarso rendimento. E così, di scoperta in scoperta, arriviamo ai fatti clamorosi delle ultime settimane. Perché una cosa dev’esser chiara…”.

–  Quale?

“Queste brutte cose le abbiamo scoperte noi, le abbiamo tirate fuori noi e le stiamo sistemando noi. Nessuno ci fa favori o lavora al posto nostro. L’unica differenza imputabile alla nostra “operazione pulizia” è che al posto di 1,5 miliardi di Monti bond, come volevamo chiedere all’inizio, ne chiederemo 2, perché mezzo miliardo ci serve per presidiare le famose operazioni finanziarie che abbiamo denunciato, messo a bilancio e ristrutturato”.

Però c’è un’inchiesta penale in corso…

“Sì, ma nata per altri motivi. Stiamo facendo una grande sforzo per tenere distinta l’attività attuale della banca da tutte le questioni su cui la magistratura farà uno straordinario lavoro di ricerca della verità. E in base ai risultati ottenuti dai magistrati, la banca avrà gli elementi per verificare se sia stata parte danneggiata o meno”.

Cioè: se saranno scoperte tangenti, lei chiederà che le somme siano restituite al Monte?

“Ho il dovere di farlo. Per ora, però, le uniche cose certe sono i sequestri che sono stati fatti, che però non c’entrano con le presunte tangenti. Le somme sequestrate sono il frutto, a quanto si legge, delle azioni della precedente direzione finanziaria che… arrotondava lo stipendio, ecco”.

Lei di sicuro sa quel che si dice: salvano le banche a spese delle famiglie… Dove sono finiti i soldi erogati dalla Banca centrale europea?

“L’Italia è il Paese in cui gli interventi pubblici a favore delle banche sono stati… uno solo, questo per il Monte dei Paschi. Pochi giorni fa Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, ha ricordato che gli aiuti di Stato alle banche in Italia pesano per lo 0,3% del Pil, mentre in molti altri Paesi quegli aiuti valgono svariati punti percentuali. Quindi, il grido contro le banche si può magari capire da parte di uno spagnolo o di un inglese, non da parte di un italiano. Nello specifico: il Monte dei Paschi ha avuto bisogno di capitale perché aveva in portafoglio molti titoli di Stato che hanno generato minusvalenze, cioè un calo della redditività. Si può criticare l’investimento, ma si deve anche riconoscere che se le banche non avessero comprato titoli di Stato, contribuendo a finanziare il debito pubblico, oggi il Paese intero sarebbe messo peggio”.

E i soldi dell’Unione europea?

“Il nostro sistema ha questa caratteristica: per ogni 100 euro di depositi o obbligazioni raccolti presso la clientela privata, le banche italiane ne danno circa 120 in prestito. Al Monte dei Paschi la media è persino più alta, circa 130. Prima della crisi, per compensare questo sbilancio e finanziare quei 20 euro in più, le banche emettevano obbligazioni e trovavano molti investitori disposti a sottoscriverle. Poi, con la crisi del debito pubblico, dell’euro e dell’Italia, gli investitori hanno smesso di investire nei titoli di Stato, figuriamoci nelle obbligazioni. Lì è intervenuta la Banca centrale europea e gran parte dei suoi quattrini sono andati appunto a coprire quei famosi 20 euro prestati in più. Una banca non è solo un’azienda. Sono correntisti, famiglie, aziende, investitori, dipendenti”.

–  Correntisti ne avete 6 milioni, ma anche i dipendenti non sono pochi: 31 mila. Come hanno reagito alla bufera?

“Con un misto di rabbia, voglia di riscatto e sofferenza. Tra le cose positive c’è proprio la loro capacità di tenere, reagire, rispondere ai clienti, trasmettere la solidità della banca. E penso a quelli che tirano su la saracinesca la mattina, che stanno allo sportello. Ho ricevuto decine di mail, spesso toccanti. Molte dopo la mia partecipazione a “Porta a porta”. Non capita spesso che l’amministratore delegato del Monte vada in Tv ma i nostri ci chiedono di difendere la banca mettendoci anche la faccia. E Profumo e io lo facciamo volentieri”.

Le è costato molto, dal punto di vista umano, mettere alla porta tanti dirigenti? 106 su 500, mica pochi.

“Bisogna distinguere. Con uno, Baldassarri, l’ex direttore finanziario, non ho fatto alcuna fatica. Diciamo che non era il mio tipo. Per gli altri 105 è diverso: sono persone che non vanno in pensione ma restano sul mercato. Se avessi potuto evitarlo l’avrei evitato”.

Si parla molto di un allentamento dei legami del Monte con Siena

“La interrompo subito. I legami con Siena sono importanti ma devono essere come le radici: dare solidità, non diventare limitazioni. Abbiamo cominciato a rimettere le cose a posto, perché col tempo si erano sedimentati anche legami non del tutto virtuosi, sia per Siena sia per la banca. Un esempio: abbiamo chiuso la sponsorizzazione con la squadra di calcio perché non c’era alcuna proporzione tra la spesa e il ritorno per la banca. Ci costava quanto sponsorizzare le prime tre-quattro del campionato”.

E il Palio?

“Il Palio, intanto, è una delle poche cose di Siena che si finanzia da sé. Tra le varie iniziative del Monte per la città, però, c’era anche un contributo di 15 mila euro per ognuna delle 17 contrade. E’ il “protettorato”, quello che anche ogni singolo contradaiolo versa. Ma in un anno in cui chiediamo sacrifici a tutti, dovevamo risparmiare anche lì. Così, d’accordo col Magistrato delle contrade, abbiamo convenuto di non chiudere il protettorato ma di ridurlo a un valore simbolico: 3.500 euro a contrada”.

Davvero non volete andarvene da Siena?

“La questione della sede riguarda la Fondazione. Oggi come oggi, comunque, un trasferimento è fuori da ogni pensiero”.

Monti ha detto “fuori i politici dalle banche”. Bersani ha ribattuto: “Fuori i banchieri dai partiti”. Lei, da cittadino, come la vede?

“Io ho molto rispetto per la politica. Gradirei che anche la politica avesse lo stesso rispetto per la banche. Se ci sono situazioni strane, bisogna intervenire senza indugio. Sapendo, però, che sono aziende da maneggiare con grande delicatezza, perché hanno una forte componente umana fatta di dipendenti e clienti, e perché agiscono in base a un fattore decisivo che si chiama fiducia”.

Francesco Anfossi  – Fulvio Scaglione

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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