Il mantra sulla “Grecia che resta in Europa”, ripetuto per settimane da Tv e giornali, dice poco della situazione greca e rivela piuttosto il timor panico (e la sottintesa sfiducia nelle soluzioni finora proposte) verso una crisi economica ormai vista come una manifestazione quasi metafisica del male.
Il voto dei greci come un esorcismo, insomma. E i primi a farsi contagiare da questa sindrome sono stati proprio economisti, analisti, politici, presunti esperti. I popoli, al contrario, di dubbi non ne hanno mai avuti. Non i greci, che ieri hanno premiato i partiti pro-euro (compreso Syriza, che vuole ridiscutere la manovra ispirata dalla Ue ma si guarda bene dall’ipotizzare l’uscita dalla moneta unica), cioè i partiti che, in diversa misura, erano usciti vincitori già dalle elezioni di maggio. E nemmeno gli irlandesi che, con referendum, hanno approvato il Fiscal Compact che vincola i Paesi euro a una severa politica di bilancio.
Con il voto di ieri, la Grecia non ha scelto di restare nell’euro ma di restare nella realtà. L’Europa potrebbe sopravvivere al ritorno della dracma, la Grecia forse no. La svalutazione (tra 50 e 70%) sarebbe immediata ma il vantaggio per le esportazioni relativo, per un Paese che vende prodotti “poveri” (alimentari e tessuti) e compra quasi tutto il resto. Andrebbe meglio con il turismo, se gli altri europei avessero voglia di viaggiare.
Nessuna sorpresa, dunque. Né in negativo né in positivo: formare un Governo sarà comunque difficile, la maggioranza Nuova democrazia-Pasok (163 seggi su 300) deve ancora siglare i suoi patti e comunque non sarà infrangibile. Ora tocca all’Europa: dovrà meritarsi la fiducia dei greci e dovrà farlo con atti concreti. Questo è il momento per allentare la faccia feroce e concedere un po’ di respiro. In qualche anno i greci stanno facendo i sacrifici di un’intera generazione. Dobbiamo aiutarli a farcela, non punirli.