IL MONDO LO NUTRIRANNO I GIOVANI

Dopo aver tanto discusso, negli anni scorsi, della sorte degli anziani, in Italia e in Europa si sta scoprendo che la vera “questione” riguarda i giovani, i ragazzi tra i 15 e i 24 anni. In Italia, per fare un esempio, cioè nel Paese dove il 20% della popolazione ha più di 65 anni d’età, si accumulano 2 milioni degli 8 milioni di Neet (quelli che non studiano e non lavorano) che vivono in Europa. E la disoccupazione giovanile, insieme con la crisi economica, sta erodendo la capacità di risparmio delle famiglie.

 

A livello globale, peraltro, il mondo non è mai stato così ricco di giovani. Nei Paesi in via di sviluppo, peraltro i più popolati, la fascia 15-24 anni forma il 20% della popolazione, una quota destinata a crescere ancora: in Nord Africa e nel Medio Oriente quella fascia di popolazione dovrebbe allargarsi di almeno 7 milioni di persone nei prossimi anni, fino a formare i due terzi della popolazione; in Asia i giovani erano 745 milioni già nel 2010 e in India, oggi, metà della popolazione ha meno di 25 anni.

Ovunque, il problema del lavoro si è fatto decisivo. Noi in Italia siamo alle soglie del 30% di disoccupati tra i giovani, ma non siamo certo gli unici: la Grecia è al 36%, la Spagna al 44%, la Gran Bretagna al 20%. Nel mondo arabo la media è intorno al 24%.

Nei Paesi industrializzati le soluzioni sono molto più complicate. I giovani sono, paradossalmente, vittime del benessere conquistato per loro (e per chi, se no?) dai genitori. Studiano, se non studiano possono essere mantenuti fino al giorno in cui trovano la loro strada. Facile chiamarli “bamboccioni”, un po’ meno facile spiegare perché uno non dovrebbe approfittare delle condizioni di favore per la cui conquista la generazione precedente si è tanto sbattuta. Nessuno vive male così, per esercizio o per principio, se solo può vivere meglio.

Ma nei Paesi in via di sviluppo, quelli in cui il benessere non è garantito e la povertà ancora un rischio concreto, l’agricoltura offre ancora grandissime opportunità. Dicono gli esperti che entro il 2050 la Terra avrà 9,1 miliardi di abitanti e che da qui ad allora bisognerà attrezzarsi a produrre il 70% in più del cibo che produciamo oggi, facendo nello stesso tempo qualcosa per frenare la spoliazione dell’ambiente: il 20% dei terreni un tempo coltivabili del pianeta è ormai ridotto alla sterilità.

Considerato che il 70% dei poveri del mondo tuttora vive in aree rurali, diventa facile capire che la sfida del cibo e quella della povertà si combattono e si vincono (o si perdono) sullo stesso terreno. Bisogna assolutamente trasformare milioni di quei giovani in agricoltori, per renderli padroni del proprio destino e, insieme, del futuro del mondo. Per farlo, bisogna fermare le migrazioni da povertà, aiutarli a restare nella propria terra. E perché restino, devono avere un’educazione professionale di base e gli strumenti per avviare un’attività famigliare. La scommessa del nuovo aiuto allo sviluppo si gioca qui.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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