NIGERIA, L’ULTIMA SPIAGGIA DI AL QAEDA

Le regioni dell'Africa dove tradizionalmente colpiva l'Aqmi.

L’esasperazione per un regime tra i più corrotti del mondo. Lo status di prima potenza petrolifera dell’Africa (sesta del mondo) che resta appannaggio di pochi e non si traduce in benessere diffuso. La politica ondivaga di un Governo debole, che di colpo ha raddoppiato il prezzo della benzina, devastando il bilancio già risicato di milioni di famiglie. E, certo, la mai sopita intolleranza della maggioranza islamica verso i cristiani che, almeno per numero (sono il 40% della popolazione), non possono essere considerati né chiamati “minoranza”.

Un'immagine scattata a Kano (Nigeria) nel giorno delle stragi di Boko Haram.

Questa è la Nigeria. C’è qualcosa di tutto questo nel motore che anima le stragi compiute dai miliziani della setta islamista Boko Haram e garantisce loro vaste complicità nelle regioni del Nord. Ma l’ampiezza degli attacchi (Boko Haram intraprese la lotta armata nel 2004 e da allora ha ucciso circa 1.200 persone), la loro frequenza in costante aumento (almeno 350 morti nel solo periodo da Natale alle stragi di ieri a Tafawa Balewa, passando per l’orrendo massacro di Kano) e la meticolosa pianificazione degli attacchi suicidi ci dicono che negli ultimi tempi qualcosa è cambiato. La situazione locale, nazionale, non basta più a spiegare l’orrore in cui precipita la Nigeria e l’incubo quotidiano che vivono i suoi cristiani.

La Nigeria, in realtà, è la tappa più recente di quel continuo migrare a cui il terrorismo islamico organizzato ci ha ormai abituati. Attaccati dieci anni fa nei santuari in Afghanistan, Al Qaeda e i suoi accoliti si sono spostati prima in Asia, poi in Africa del Nord. Inseguiti e colpiti passo passo, si sono sempre mossi con astuzia, cercando l’ambiente giusto dove rifugiarsi e da cui riprendere a colpire.

Nel Maghreb hanno resistito per anni, dal 2004 al 2010, prima come Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, poi come Aqmi (Al Qaeda per il Maghreb islamico). Hanno messo a segno, soprattutto in Algeria ma anche in Mauritania, Mali e Niger, una lunga serie di attacchi suicidi e sequestri di persona a scopo di finanziamento. Molti ritengono che sia stato ancora l’Aqmi a catturare, nell’ottobre scorso, la cooperante italiana Rossella Urru.

Le regioni dell'Africa dove più spesso colpiva l'Aqmi (Al Qaeda per il Maghreb islamico).

Con il tempo, però, anche il Maghreb è diventato troppo piccolo per gli epigoni di Bin Laden. La repressione dell’esercito algerino, le attività d’intelligence dei servizi segreti di Usa, Francia e Italia, e il mutato clima politico (con molti movimenti islamici impegnati a darsi una veste più “istituzionale” e credibile, di fronte ai mutamenti sociali in atto), li ha messi all’angolo. Sempre più militanti arrestati, sempre meno attentati a segno, finanziamenti ormai difficili e scarsi.

Così i residui gruppi armati hanno affrontato una nuova migrazione: verso Sud, fino appunto alla Nigeria e all’alleanza con la setta autoctona Boko Haram. Proprio da quel momento, verso la fine del 2010, il gruppo nigeriano, che prima aveva subito duri colpi, compresa l’uccisione del fondatore Ustaz Mohammed Yusuf nel 2009, diventa più micidiale e crudele: come se al suo radicamento sul territorio si fosse aggiunta una competenza terroristica nuova, portata appunto in dote dai fuggitivi dell’Aqmi.

E’ vano aspettarsi, nell’immediato, una reazione efficace del Governo nigeriano e di un presidente come Goodluck Johnson, cristiano ma sin troppo impegnato a rendersi accetto alla maggioranza islamica del Nord per intervenire con decisione a protezione dei cristiani del Sud. La trincea ultima si chiama shari’a. Uno delle bandiere di Boko Haram è l’introduzione della legge islamica in tutti i 36 stati che formano la Nigeria. Per il momento essa vige in 12 Stati: in 9 a pieno titolo, in altri 3 solo per le aree a maggioranza islamica. Qualunque cedimento, ora, sarebbe una resa ai terroristi.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 22 gennaio 2012

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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