2011/2012, LA NAZIONE PRIMA DI TUTTO

L’anno che si chiude, e che di per sè ha aperto il decennio, ha avuto una caratteristica comune a tutte le latitudini: il prepotente ritorno delle questioni nazionali. Con l’inevitabile corollario della crisi di quasi tutte le forme di rappresentanza sovrannazionale, dall’Unione Europea al G20. Non a caso viene considerata con stupore, e da alcuni addirittura come un ritorno a concezioni di tipo sovietico, l’unione doganale e commerciale varata dalla Russia di Vladimir Putin insieme con il Kazakhstan e la Belorussia, non a caso tre Paesi scossi da notevolissime crisi politiche.

In questo, il decennio aperto con il 2011 dei vari “io” nazionali ha di fatto ribaltato il decennio precedente. Dal 2000 al 2010 il mondo aveva ragionato soprattutto in termini di “noi”. Si era aperto, quel decennio, con il varo dell’euro, cioè della moneta unica per tutta l’Europam ed era proseguito con le guerre del “noi” (noi occidentali, democratici, illuminati) contro “loro” (i talebani, i musulmani, i dittatori oscurantisti, i fanatici) in Afghanistan e in Iraq. Per questo colpì così tanto il rifiuto della Francia e della Russia di partecipare all’attacco contro Saddam Hussein: perché rompeva il fronte del “noi” e si proponeva come un egoismo nazionale rispetto a una battaglia descritta come collettiva. Come “di civiltà”, appunto. Che poi fossero tutte balle è, da questo punto di vista, relativamente importante.

Nel 2011 tutto si è rovesciato. All’apice della crisi economica, raggiunto appunto quest’anno, la nazioni sotto stress hanno ricominciato a seguire il più possibile piste individuali. In Europa si va dalla Grecia alla Germania, cioè dal Paese che ha truccato i bilanci per non raccontare la verità all’Unione Europea al Paese che si è organizzato per reagire alla crisi e non vuol correr rischi per soccorrere le economie “allegre” di Grecia, Italia e Spagna. Alla faccia degli ideali europeisti. La Francia, all’alba della crisi libica,  ha rinunciato a qualunque forma di concertazione europea per riprendere, anche se in modo effimero, gli antichi vezzi della grandeur. Della Gran Bretagna si può solo dire che ha abbandonato la finzione di essere membro della Ue, ed era pure ora.

Persino il fenomeno collettivo più significativo dell’anno, la Primavera araba, ha fatto sempre più emergere nei mesi il carattere nazionale delle rivolte contro la dittatura. Il desiderio di libertà e democrazia è evidente in tutto il mondo arabo, e questo è certo un tratto comune. Ma ciò ch’è successo in Libia ha poco a che vedere con quanto invece è successo in Tunisia o in Egittom o quanto potrebbe succedere nello Yemen o in Arabia Saudita. Nel decennio precedente vigeva la retorica del “mondo islamico”, dell’arcipelago islam spacciato come un blocco monolitico, la riedizione dell’impero del male dei tempi di Ronald Reagan. Sono bastati pochi mesi per darci la misura di quanto quella propaganda fosse fasulla e fuorviante.

Basta pensare, quanto al mondo islamico, al blocco Turchia-Siria-Iraq, tre Paesi che ormai non hanno più nulla in comune. O al confronto Iran-Arabia Saudita (più Emirati) per interposti Usa per capire quanto siamo stati portati fuori strada.

Un'antica stampa: il nazionalismo divora il mondo.

Ci piaccia o no, è probabile che il 2012 ci riproponga la stessa minestra del 2011, ma in salsa ancor più piccante. Gli Usa saranno impegnati nella campagna per le elezioni presidenziali, impossibile dunque che Obama prenda decisioni importanti (e divisive) di politica internazionale nell’anno in cui deve respingere l’assalto dei repubblicani alla Casa Bianca. La Francia va alle elezioni presidenziali, incerte come non si poteva credere fino a poco tempo fa, e Sarkozy rischia. La  Russia, il 4 marzo, vedrà Vladimir Putin rientrare al Cremlino, ma in condizioni di stress politico cui non sono abituati né lui né l’elettorato russo. Ancor più importante: entro l’anno, la Cina rinnoverà i massimi quadri dirigenti, il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao, che negli anni della grande crisi si sono rivelati interlocutori affidabili anche per i Governo di Usa ed Europa, saranno sostituiti da Xi Jinping e Li Keqiang, dirigenti ancora largamente sconosciuti. Ma non solo: il programmato ricambio di vertice si accompagna al rinnovamento di circa il 70% dei quadri dirigenti e i sinologi (moderna versione dei cremlinologi di un tempo) si aspettano un’avanzata dei nazionalisti.

Difficile che in queste condizioni i leader trovino tempo, modo e voglia per alzare lo sguardo dai problemi nazionali e dedicarsi alla collaborazione internazionale.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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