Due fatti, oggi, ci hanno ricordato in modo potente che, a dispetto di ogni tentativo di razionalizzazione, viviamo in un mondo schizofrenico e diviso. Due i protagonisti di questo memento: i pirati che nel Golfo di Oman hanno sequestrato un altro mercantile italiano, la “Enrico Ievoli” di Napoli, carica di soda caustica; e i militari dell’Iran, che hanno minacciato di bloccare lo stretto di Hormuz, e quindi di bloccare la navigazione nel Golfo Persico, se la comunità internazionale metterà sotto embargo le esportazioni iraniane di petrolio.
Siamo, come si vede in qualunque cartina, in due bracci di mare attigui, tanto che l’Iran affaccia su entrambi. Un’area limitata, forse una trentina di chilometri d’acqua, che è però la più sorvegliata al mondo. Gli onnipresenti apparati di spionaggio degli Usa la tengono sotto controllo dalle basi in Arabia Saudita, Yemen e Bahrein, la analizzano con i satelliti, la pattugliano con navi ed aerei. Altrettanto fanno, ovviamente, gli iraniani, sia pure con mezzi più limitati. E di essa si interessano, inevitabilmente, i “servizi” di tutti gli altri Paesi della regione. Non v’è nave, militare o mercantile, che riesca a passare inosservata.
Eppure, ancora oggi, basta un barchino con qualche armigero a bordo per assaltare con successo (gli uomini della “Savina Caylyn”, 105 mila tonnellate di stazza, sono stati liberati da pochi giorni, dopo una prigionia durata 10 mesi) anche le più colossali petroliere. E un Paese come l’Iran, che vanta un milione di uomini in armi, la Marina più potente del Medio Oriente e la terza riserva di petrolio (il 10% del totale mondiale) dopo quelle di Arabia Saudita e Venezuela, pensa di gestire una trattativa internazionale affondando qualche relitto o seminando di mine il Golfo Persico, come ai tempi della Tortuga.
Abbiamo sotto gli occhi la realtà di un mondo che avanza a due velocità, spesso inconciliabili. La finanza sposta le risorse da un continente all’altro con un clic, proprio come con un clic i satelliti americani sono in grado di radiografare qualunque nave si muova in mare. Ma le merci viaggiano ancora su navi lentissime ed esposte agli incerti della pirateria e della politica. Un terzo di tutto il petrolio del mondo ancora attraversa, da Nord a Sud e viceversa, il Golfo Persico. E la soda che la “Enrico Ievoli” stava portando nel Mediterraneo, veniva dagli Emirati Arabi Uniti.
Possiamo stupirci, quindi, se la finanza ha prevalso sull’industria e la speculazione sulla produzione, fino a dettare i cicli della prosperità e della carestia globale? L’una ha superato i limiti del mondo fisico riversandosi nel mondo virtuale, l’altra ancora si scontra con gli ostacoli della fisicità, in un pianeta tra l’altro sempre più affollato e trafficato. La frizione tra le due velocità lascia spazio ai nuovi mostri che, significativamente, sono identici a quelli di un tempo: i pirati. Di un tempo, non a caso, in cui la rivoluzione industriale della produzione muoveva i primi passi e la speculazione finanziaria era esercitata con i commerci del colonialismo rampante, esercitati sullo sfruttamento delle colonie.