La sala delle Turbine nella Tate Modern Gallery a Londra, ê davvero impressionante per quant’é vasta. Ed é ancora più impressionante da quando sul suolo campeggia la monumentale opera concepita da Ai Weiwei, uno dei maggiori artisti cinesi contemporanei. Ai Weiwei era stato arrestato il 4 aprile mentre si stava imbarcando su un volo per Hong Kong, e da quel momento si erano perse le sue tracce. Nei lunghi giorni passati prima della liberazione dell’artista, l’opera di Weiwei in mostra alla Tate è sembrata un triste monito. Si tratta di Sunflower seeds, un tappeto di milioni di semi di girasole di porcellana scolpiti e dipinti uno ad uno dagli abitanti di Jingdehzen. Colpita da una grave crisi economica che ha lasciato senza lavoro in molti, la comunità di Jingdehzen é stata per intero coinvolta nella realizzazione di quest’opera dai molteplici significati.
Sunflower seeds punta l’attenzione sull’unicità di ogni singolo, unicità che va rispettata affinché contribuisca alla forza della collettività. Ma i funzionari cinesi non hanno considerato opportuno rispettare l’unicità di questo personaggio eclettico, architetto, artista, scrittore e cittadino impegnato nella lotta per i diritti dei cittadini, definito dal giornale filogovernativo Huanqiu Shibao, nei giorni che hanno seguito l’arresto: “Un elettrone impazzito per il quale non modificheremo le nostre leggi”.
Da anni Ai Weiwei si trova nel mirino delle autorità. Dopo il terribile terremoto che colpí il Sichuan nel 2008, l’artista, con l’aiuto di centinaia di volontari, decise di stilare una lista di tutti gli scolari deceduti nel sisma. Lo scopo di questo elenco era denunciare il Governo per l’incuria con cui gli edifici scolastici erano stati costruiti, a causa della corruzione che incancrenisce in buona parte il mercato dei lavori pubblici cinese. Per questa denuncia, pubblicata sul suo blog, Ai Weiwei venne picchiato selvaggiamente dalla polizia e dovette subire un delicato intervento chirurgico a Shangai. Da allora, Weiwei non é stato mai perso di vista. E neppure lui ha mai perso di vista la sua causa. Delle spie in borghese sostavano quotidianamente davanti al suo indirizzo. Lui, col suo solito e noto senso dello humour, fotografava le loro espressioni attonite e le mostrava sul blog con cui comunicava col mondo.
In un editoriale pubblicato due anni fa dal Courrier International, Ai Weiwei spiegò, riferendosi alla persecuzione e alla morte dell’oppositore Yang Jia, condannato ingiustamente dal Governo, che “la sua sorte permise di capire che ai giorni nostri la tragedia degli uni é legata al rifiuto e alla rinuncia degli altri”. E agli altri, al suo popolo che vuole libero dai tiranni, Ai Weiwei non ha mai rinunciato, né nel suo impegno civile, né nella sua arte.
A partire dai 1001 cinesi invitati nel 2007 all’esposizione Dokumenta a Kassel, in Germania, ai quali aveva fatto pervenire in Cina prima della partenza 1001 trolley bianchi e neri. Visti da dietro, all’arrivo nell’aeroporto tedesco, gli entusiasti e insoliti turisti parevano un gigantesco panda in movimento. E poi i cinesi di Jingdehzen, scultori a tempo determinato di semi di girasole in porcellana. E ancora tutti gli altri cinesi, quelli che oggi vogliono ricambiare il favore ed esprimere gratitudine. Quelli che su internet, a centinaia, dal 4 aprile in poi, hanno cambiato il loro pseudonimo con uno nuovo, che significa: “Il mio nome é Ai Weiwei”.
di Eva Morletto