LIBIA NEL MIRINO, EUROPA NEL CAOS

Con la Risoluzione 1973, approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu con il “sì” di 10 Paesi e l’astensione di Russia, Cina, Germania, India e Brasile, la comunità internazionale ha disconosciuto in modo definitivo e irreversibile il regime di Muhammar Gheddafi. La Libia è di fatto equiparata all’Iraq di Saddam Hussein (dove la no fly zone venne istituita nel 1991), alla Bosnia assediata dai serbi (1993) e al Kosovo occupato da Milosevic (1999).

Due caccia F16 in volo sul Mediterraneo.

Due caccia F16 in volo sul Mediterraneo.

Il documento, come ormai si sa, autorizza la realizzazione di un blocco aereo e l’uso di “tutte le misure necessarie” per “proteggere i civili e le aree civili popolate sotto minaccia di attacco in Libia, compresa Bengasi”. La stessa Risoluzione impone misure ancora più energiche di embargo militare ed economico (compreso il blocco delle finanziarie libiche e della compagnia petrolifera nazionale) ma esclude qualunque forma di occupazione armata.

Il provvedimento è di incerta efficacia, come i precedenti dimostrano: Gheddafi lo sa e infatti ha subito proclamato un “cessate il fuoco” che non gli impedisce azioni più mirate e difficili da rilevare. La Risoluzione, inoltre, è arrivata tardi, dopo settimane di esitazioni e trattative diplomatiche. Forse troppo tardi per salvare quell’abbozzo di Governo alternativo a Gheddafi che nel frattempo si era formato a Bengasi, ma comunque in tempo per dare il colpo di grazia alla sopravvivenza politica del regime del Rais.

E’ degno di nota il fatto che la Risoluzione è stata promossa e appoggiata dal tradizionale “fronte atlantico” formato da Usa e Gran Bretagna e dalla Francia di Sarkozy, mentre è stata tiepidamente tollerata dai Paesi economicamente emergenti, senza distinzione di continente. L’astensione di Germania e Russia (Europa), Cina e India (Asia) e Brasile (America del Sud) indica con chiarezza la preoccupazione che la sponda Sud del Mediterraneo, con la sua ricca dote di rilevanza geostrategica e ricchezze energetiche, possa diventare una sorta di “protettorato” americano, viste le salde teste di ponte politiche che la Casa Bianca, negli ultimi tempi, è riuscita a costruire nell’Egitto della cacciata di Hosni Mubarak e nella Tunisia della cacciata di Ben Alì. Al contrario, l’adesione compatta dei Paesi dell’Africa (nel Consiglio di sicurezza siedono, come membri temporanei, Nigeria, sudafrica e Gabon) testimonia dell’esatto contrario, e dell’insofferenza maturata nei confronti di Gheddafi.

L’Europa esce da questa crisi con le ossa rotte. Due Stati dell’Unione Europea la rappresentano nel Consiglio di Sicurezza, Germania e Francia: hanno votato in modo diverso. La Russia, altro membro permanente del Consiglio, si è schierata col fronte asiatico, memore dei propri interessi petroliferi. Difficile peraltro aspettarsi un esito diverso da quando, con le elezioni del 2009, il Governo dell’Unione è passato in larga parte a partiti di centrodestra che hanno importanti fazioni fino ad allora palesemente euroscettiche o a movimenti di destra a forte carattere nazionalista o, addirittura, localista. Mai l’Unione Europea è stata così lontana dall’avere una politica estera comune.

Resta ora da vedere che cosa potrà concretamente avvenire sul terreno, in Libia. Se la Risoluzione Onu sarà applicata con vigore, i ribelli di Bengasi avranno respiro e potranno riorganizzarsi. Gheddafi, in quel caso, potrà magari restare leader, ma di un Paese amputato di una parte non secondaria. In prospettiva, gli Usa potrebbero voler ripetere le esperienze del Kosovo (diventato, di fatto, un governatorato americano) e del Sud Sudan, portato all’indipendenza da una lunga e tenace opera diplomatica. Ma questo è già un futuro tutto da verificare. L’oggi parla di un Gheddafi ancora capace di tenere in scacco le stesse nazioni che solo qualche anno fa si erano precipitate a rifornirlo di armi e quattrini e a nominarlo custode unico della politica migratoria dell’Europa.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 18 marzo 2011

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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