LIBIA: SE L’INVIATO NON SA QUEL CHE VEDE

DI GIORGIO VECCHIATO

Nessuno sottovaluta le difficoltà che incontra un giornalista in zone di battaglia, di rivolta o, peggio, di guerra civile. In genere, vede solo ciò che gli accade sotto il naso. Può scrivere il più fascinoso degli articoli, ma gran parte del resto gli sfugge. Molto più informati di lui sono i colleghi che se ne stanno al caldo in redazione, dove possono utilizzare altri servizi, altre fonti e, in più, il massiccio ausilio delle agenzie di stampa.

stampa 2

Nessuna meraviglia, quindi, se oggi gli inviati in Libia non capiscono bene, né possono farci capire, come stiano andando realmente le cose. In base alle loro corrispondenze, per giorni i quotidiani e i Tg hanno intitolato sull’ “ultimo assalto a Gheddafi”. In tema di assalti, non si erano ancora visti né il penultimo né il terzultimo. Non avrebbe guastato cioè un minimo di prudenza, specie ora che il regime comincia a usare i carri armati.

Una giustificazione comunque esiste. Con una opinione mondiale del tutto avversa al Raìs, con lo stesso Governo italiano che dai baciamano era passato all’aperta condanna, soprattutto con lo spettacolo di insorti che si battevano per la libertà, l’influsso esterno era inevitabile. La rivolta era solo da elogiare, quindi da aiutare. Suggestione che però sta invadendo anche le redazioni, e su questo c’è da discutere. Il lettore accetta la passione, ma prima esige informazione.

Fermo restando il giudizio ampiamente negativo su Gheddafi, peraltro surclassato come ferocia da molti colleghi africani, quel che la gente si aspetta dai cronisti è una onesta approssimazione alla verità. O, per lo meno, non una condotta fuorviante. Quando per esempio un grande giornale intitola sulla rivolta che ha raggiunto Tripoli, e si legge la corrispondenza da quella città, la forzatura è evidente. L’inviato dà conto di un centinaio di libici che accanto alla moschea manifestano contro Gheddafi, ed è una notizia. Posta in sottordine tuttavia da tutt’altre notizie, quelle riguardanti l’offensiva cruenta del regime, con armi che gli insorti non possiedono. Di qua grida in piazza. Di là aerei, missili, cannoni. Nulla esclude insomma che Gheddafi, benché internazionalmente esecrato, alla fine riesca a prevalere. Ipotesi che in pochi giornali trova spazio.

Qui si pone un’ultima ma non secondaria questione. Un’espressione come “linguaggio diplomatico” è intesa, di solito, in chiave negativa. Ipocrisia e dissimulazione, fuga dalla verità. E’ vero: solo che quel termine postulava anche la possibilità di variare opinione, di adattare i comportamenti agli eventi, in nome sia dell’interesse nazionale sia della preferenza per soluzioni pacifiche piuttosto che belliche. Ora, se per dannata ipotesi Gheddafi dovesse schiacciare l’insurrezione, e tornassero in auge petrolio e convenienze economiche, più di un Governo potrebbe rimpiangere le scappatoie offerte, appunto, dal linguaggio diplomatico. Che è sempre ipocrita, ma spesso non stupido.

di Giorgio Vecchiato

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top