I CRISTIANI E L’IMMIGRAZIONE, CHE FARE

DI MONSIGNOR LUCIANO MONARI

La responsabilità politica dei cristiani e l’immigrazione – … il problema dell’immigrazione non riguarda solo la prassi della comunità cristiana al suo interno. I cristiani sono chiamati a partecipare alla vita politica che definisce i parametri della convivenza delle persone; e debbono fare questo in un modo che sia coerente con la loro fede. Che cosa significa questo? Quali sono le conseguenze del Vangelo nel modo di affrontare il problema dell’immigrazione? … mi sembra insostenibile sia la posizione di chi ritiene necessario ‘accogliere tutti’ sia quella di chi vuole ‘chiudere a tutti’. L’accoglienza dell’altro che il Vangelo chiede – e la chiede davvero! – deve saggiamente fare i conti con le possibilità concrete, in modo che l’accoglienza non produca danni maggiori. Accogliere tutti indiscriminatamente può provocare alterazioni traumatiche della vita economica, delle relazioni politiche, delle relazioni culturali e della coesione sociale. A soffrirne sarebbero non solo coloro che accolgono, ma anche quelli che vengono accolti… Viceversa ‘respingere tutti’ è oggettivamente impossibile. C’è un dovere riconosciuto con accordi internazionali di accogliere i rifugiati che fuggono da condizioni di ingiustizia e di oppressione; a questo dovere nessun Paese può legittimamente sottrarsi… Per di più, del lavoro di immigrati abbiamo bisogno: molti nostri anziani vivono decentemente la vecchiaia per l’assistenza di tante badanti; molti posti dell’industria e dell’agricoltura sono coperti da immigrati; molti servizi vitali dipendono da loro e così via. Rifiutare tutti gli immigrati significherebbe un abbassamento drastico del nostro stesso tenore di vita… Credo però si possano ugualmente dire alcune cose.

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La prima è che chi lavora presso di noi e contribuisce in questo modo al nostro benessere ha il diritto di vedere riconosciuta la propria attività e di essere messo in regola. Se un’immigrata accudisce un anziano italiano e compie in questo modo un reale servizio al benessere della
nazione italiana ha il diritto di essere regolarizzata. Certo, l’Italia può scegliere di fare a meno di immigrati e provvedere da sé ai suoi bisogni; ma se non riesce a fare questo e i suoi cittadini fanno ricorso a immigrati per compiere un servizio utile, che migliora il benessere degli italiani, l’Italia non può rifiutare a queste persone il riconoscimento giuridico e la garanzia di quei servizi che noi abbiniamo coerentemente al lavoro (sanità, scuola). Quando una coppia di italiani mette al mondo un figlio, lo Stato riconosce a questo figlio tutti i diritti propri dei cittadini italiani. Quando un italiano fa lavorare un operaio per la sua ditta – il cui profitto va a beneficio di tutta la nazione – oppure gode di un servizio alla persona che lo Stato non è in grado di garantire, il riconoscimento giuridico è, mi sembra, moralmente doveroso. E un politico che voglia dirsi cristiano è chiamato a favorirlo.

Così mi sembra da migliorare la norma che toglie automaticamente il permesso di soggiorno a chi perde il lavoro. La logica di questa norma appare del tutto egoistica: “Finché mi servi, ti tengo e faccio uso della ricchezza che produci; ma, appena la tua presenza smette di servirmi, ti caccio.” Un meccanismo di questo genere è non solo ingiusto in sé, ma giustifica nel sentire comune un modo di ragionare egoista e perciò pericoloso. È illusione credere che questo sentimento possa essere controllato e diretto solo verso gli immigrati; una volta ammesso per gli immigrati, tende necessariamente a diffondersi in tutte le direzioni e contribuisce ad avvelenare anche il tessuto sociale italiano…

Va ricordato anche il problema dei bambini nati da genitori stranieri (che non hanno la cittadinanza italiana) in Italia e che da sempre risiedono in italia. A loro la legge attuale, riconoscendo solo lo ius sanguinis, non riconosce la cittadinanza italiana. Il problema è

Monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia.

Monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia.

spinoso perché questi bambini sono, dal punto di vista culturale, italiani: parlano la nostra lingua, frequentano le nostre scuole e vivono
i rapporti di amicizia e di dialogo con ragazzi italiani; godono e soffrono le nostre ricchezze e le nostre povertà. Costringerli a essere cittadini di uno Stato che non conoscono (quello dei loro genitori) e rifiutare la cittadinanza dello Stato che li ha educati, mi sembra illogico. Il rischio
è fare di loro delle persone culturalmente apolidi: che non appartengono al Paese dove abitano e non hanno niente a che fare col Paese di cui hanno la cittadinanza. Per questo chiedo ai politici di fare il possibile perché questi bambini siano ammessi a pieno titolo nel nostro Paese: sono una delle ricchezze che possono aiutarci a superare l’handicap del declino demografico; i nostri figli hanno interesse (anche economicamente) ad averli come compagni di lavoro e di vita.

È evidente che la persona non può essere pensata senza la sua famiglia. Bisogna quindi cercare di favorire i riavvicinamenti familiari. Se accogliamo un emigrato, non possiamo rendere impossibile per la sua famiglia raggiungerlo; e, nello stesso modo, dobbiamo favorire l’inserimento scolastico dei suoi figli. Bisogna considerare che un immigrato è, dal punto di vista economico, un guadagno significativo.
Per condurre un bambino italiano all’età in cui può lavorare e produrre, la famiglia spende un patrimonio significativo e lo stato impegna servizi costosi. Ricevere come operaio un giovane di venti, trent’anni significa godere il frutto del lavoro di un adulto senza aver dovuto spendere nulla per formarlo. Quello che lo Stato può spendere per la sua famiglia e per la scolarizzazione dei suoi figli è, in un certo senso, il pagamento di un debito.

Infine un politico è chiamato a evitare e impedire qualsiasi forma di discriminazione. Con questo termine mi riferisco a comportamenti vessatori che trasformano i diritti in scelte di compiacenza; che usano le lentezze burocratiche per sfiancare le persone e costringerle alla rassegnazione o alla rinuncia; che usano due pesi e due misure a seconda della nazionalità o del colore della pelle…

HO QUI RIPUBBLICATO LA PARTE CONCLUSIVA DELLA LETTERA “STRANIERI, OSPITI, CONCITTADINI” CHE MONSIGNOR LUCIANO MONARI, VESCOVO DI BRESCIA, HA INVIATO ALLE COMUNITA’ CRISTIANE DELLA DIOCESI SULLA PASTORALE PER GLI IMMIGRATI. LA VERSIONE INTEGRALE E’ SCARICABILE DAL SITO DELLA STESSA DIOCESI

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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