SCUDO FISCALE? NEGLI USA UNA FREGATURA

Conosco molte persone né stupide né disoneste, anzi il contrario, che dicono un gran bene dello scudo fiscale del ministro Tremonti. Io, invece, mi sono sempre chiesto perché i cittadini italiani che portarono all’estero i loro quattrini quando le cose più o meno andavano, dovrebbero tenerli in Italia in un periodo di crisi economica e politica e con la tassazione immutata. Non sono l’unico a pensarla così. Ecco un editoriale dell’Herald Tribune uscito alla fine di ottobre. La traduzione è mia, abbiate pazienza.

trescimmiette

“Nel 2004, le grandi corporation americane offrirono al Congresso un patto: avrebbero rimpatriato centinaia di miliardi di dollari di profitti realizzati all’estero, da investire in nuovi stabilimenti e posti di lavoro negli Usa, in cambio di una riforma del sistema fiscale che prevedeva una tassa corporate del 35% sui profitti realizzati all’estero e riportati in patria. Il Congresso, allora a maggioranza repubblicana, accettò subito e passò l’Homeland Investment Act, la legge che nel 2005 consentì a 300 miliardi di dollari di tornare negli Usa pagando solo il 5,25% di tasse.

“Purtroppo gli stabilimenti e i posti di lavoro che erano stati promessi non ebbero mai vita.Una ricerca (Watch what I do, not what I say: the unintended Consequences of the Holenad Security Act, pubblicazioni del National Bureau of Economic Research, n.d.r) condotta da tre eminenti economisti, tra i quali anche Kristin Forbes, già consigliere economico del presidente George W. Bush, ha stabilito tra tra 60 e 92 centesimi di ogni dollaro “scudato” erano sempicemente finiti nelle tasche degli azionisti. Non essendo i dollari identificabili, le aziende poterono facilmente sostenere che per le operazioni finanziarie e le stock option dei dirigentistavano usando altri dollari, non quelli riportati a casa.

“Ora le corporation ci riprovano. In un articolo uscito sul Wall Street Journal, John Chambers (amministratore delegato di Cisco) e Safra Catz (presidente di Oracle) hanno sostenuto che le aziende americane hanno circa 1 miliardo di miliardi di profitti accumulati all’estero, che potrebbero essere rimpatriati con grande beneficio per l’economia americana se le tasse per il rimpatrio fossero sotto il 5%.

Nella tabella: in rosso, gli investinenti esteri diretti negli Usa di aziende straniere, in blu gli investimenti esteri diretti negli Usa di aziende Usa. Nel 2005, l'anno dopo lo "scudo fiscale", gli investimenti esteri diretti di aziende Usa negli Usa sono sotto zero.

Nella tabella: in rosso, gli investimenti esteri diretti negli Usa di aziende straniere, in blu gli investimenti esteri diretti negli Usa di aziende Usa. Nel 2005, l'anno dopo il varo dello "scudo fiscale" da parte del Congresso, gli investimenti esteri diretti di aziende Usa negli Usa sono sotto zero.

“Il Congresso farebbe bene a non farsi prendere per il naso un’altra volta. Le amnistie fiscali sono molto costose. E perché, poi, le corporation dovrebbero in seguito rimpatriare i profitti esteri  alla normale tassazione quando sanno che ogni pochi anni possono contare su un altro “scudo”? I colossi dell’impresa stentano a investire in Aaerica non certo perché il loro denaro sia bloccato all’estero. Molte di essere hanno grossi accantonamenti negli Usa, anche. I tassi d’interesse sono ai minimi storici e le banche fanno a gara per prestare soldi alle imprese sicure. Se queste non investono è solo a causa dell’incerta e precaria situazione dell’economia.

“L’amministrazione Obama non ha dato segno di essere interessata a quel tipo di scambio. Se i legislatori vogliono aiutare gli imprenditori a investire di più in America, dovrebbero accettare il suggerimento della Casa Bianca di defiscalizzare totalmente le somme spese in impianti e macchinari, invece di consentire solo un graduale ammortizzamento. I repubblicani, invece, contrastano la proposta di Obama e sono ancora a favore della vacanza fiscale. Le loro priorità non cambiano mai”.

La tabella pubblicata sopra è tratta da uno studio di Brad Setser sugli effetti dello Homeland Investment Act pubblicato dal Council on Foreign Relations

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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