ZDENEK ZEMAN, LO SPORT A MODO SUO

di IVO ROMANO

È tornato in pista, il grande eretico. Zdenek Zeman, per molti un esempio, per altri un nemico. Unico, nel suo genere. Parla fuori dai denti, in un mondo pregno di ipocrisia. Ha le sue idee, talvolta scomode. E non si fa scrupolo di esprimerle. Ha squarciato veli, combattuto battaglie, pagato prezzi, anche esorbitanti. Senza mai fare marcia indietro. Se gli chiudono le porte, si accontenta di partire dal basso (quest’anno, al Foggia, in Lega Pro, laddove nacque il mito Zemanlandia). Perché del calcio ha una sua idea, lontana da quella della maggioranza degli addetti ai lavori.

Zdenek Zeman in panchina.

Zdenek Zeman in panchina.

– Il calcio secondo Zeman?

«Per me, una passione: lo amo, senza gli eccessi del tifo. Il calcio dovrebbe essere divertimento, per chi lo fa e per chi lo guarda».

– Dovrebbe, ma non lo è?

«Altrove sì, in Italia quel gusto s’è perso. Sento parlare di stadi vuoti perché vecchi e scomodi: falso, la gente non va allo stadio perché non si diverte».

– La tessera del tifoso: cosa ne pensa?

«Non mi piacciono le leggi che limitano la libertà. Per colpa di qualcuno pagano tutti: non è educativo. E poi i violenti allo stadio entreranno lo stesso».

– Siamo messi così male?

«Bene non siamo messi: sono andate a farsi benedire anche la moralità e l’etica».

– Non è forse il vostro compito educare?

«Abbiamo una grossa responsabilità. Dobbiamo insegnare calcio ma abbiamo a che fare con ragazzi, che vanno guidati allo sport nella maniera giusta, perché quella sarà la loro palestra di vita».

– Visto il recente passato, il calcio ha fallito?

«Non è stato un esempio, ma c’è tempo per rifarsi. C’era un sistema che dettava legge, tutti cercavano di adeguarsi, magari con diversi livelli di responsabilità».

– E la televisione?

«Non mi piace il modo in cui segue il calcio. Pensi che vedo molto sport in Tv, ma solo eventi, mai trasmissioni di chiacchiere. La Tv ha un solo interesse: vendere il prodotto. Tempo fa mi avevano offerto di commentare le partite in televisione, ma rifiutai: non si può dire la verità, la Tv dice solo bugie. Vedo le partite senza l’audio: mi piace il calcio, non le chiacchiere».

– Se avesse la possibilità di cambiare Paese, quale sceglierebbe?

«Una volta pensavo di poter vivere solo in Italia o a Praga, poi ho capito che potrei vivere ovunque. Per il calcio, l’Inghilterra. Anche lì il calcio è business, ma mi piace per come è vissuto, per come lo si considera ancora un gioco”.

– Altri esempi positivi?

«A livello di calciatori, spesso chi è bravo in campo lo è anche fuori: i miei preferiti sono Rivera, Baggio e Totti, ottimi calciatori ma anche uomini in gamba. E poi Valentino Rossi: è un po’ matto, anche perché bisogna esserlo per fare quello sport. Ma è pure una bella persona: mi ha colpito il suo libro, ci sono passaggi da restare veramente a bocca aperta».

– E Maradona?

«Grandissimo, il migliore. Ma lui è l’eccezione: campione in campo, non un bell’esempio fuori».

– I suoi miti dello sport?

«Kovacs, come allenatore: lui e il suo Ajax sono storia. E poi Emil Zatopek, una leggenda della corsa nel mio Paese».

– A proposito del suo Paese, come mai l’ha lasciato?

«Arrivai in Sicilia nel 1969, mi innamorai di Mondello, ebbi la possibilità di iscrivermi all’Isef. È per questo che sono rimasto in Italia, nulla a che fare con la politica».

– E i suoi rapporti attuali con la Repubblica Ceca come sono?

«Ottimi, ci torno spesso. Sono stato costretto a restarne lontano a lungo, dopo essermene andato riuscii a tornare solo nel 1990. Ma ce l’ho sempre nel cuore».

– Quante lingue parla?

«Quattro: ceco, italiano, russo, francese. Più il foggiano, naturalmente».

– Letture?

«Poche: Kafka, ad esempio».

– Cinema?

«Ho smesso di andarci 30 anni fa, da quando è vietato fumare in sala. Mi resta l’amore per Milos Forman: Qualcuno volò sul nido

del cuculo rimane un capolavoro assoluto».

– Che sport ha praticato?

«Il golf, l’ultimo, quando ero disoccupato. E pensare che lo odiavo, poi ho scoperto che aiuta molto a rilassarsi».

– E in gioventù?

«Pallavolo, hockey su ghiaccio, pallamano, di cui sono stato nazionale juniores».

– Lei, così tranquillo?

«C’è un tempo per correre e un tempo per riflettere».

– Calcio mai?

«Una sorpresa: il pugilato. Mio padre, che lo praticava, mi regalò i guantoni e mi portò in palestra. Ma lasciai, perché si prendevano troppi pugni: il miglior pugile è quello che riesce a schivarli tutti, io non ci riuscivo».

– Segue la politica?

«No, ne sto lontano».

– Neanche quella italiana?

«In generale penso che i politici debbano fare l’interesse della gente, cosa che spesso non succede».

– Quando si arrabbia?

«Poco, e quando capita di solito non lo do a vedere».

– E quando si diverte?

«Spesso, questa è la fortuna di stare quotidianamente a contatto con 25 ragazzi: si scherza, si ride».

– Che cosa le mette tristezza?

«La perdita di una persona cara: mi resta un grande vuoto, penso a lungo a quel che avrei potuto fare, una telefonata, quattro chiacchiere».

– Crede in Dio?

«Sì, sono cattolico. Ma non porto rosari in panchina né prego prima della partita: la fede non c’entra col calcio».

– Che cosa sogna Zeman?

«Solo di stare bene in salute, insieme alle persone cui sono legato».

– Ne ha tra i colleghi?

«No, tra gli allenatori non c’è amicizia, non ci sono rapporti veri. Solo rivalità, purtroppo».

– In chiusura, che cosa manca al calcio italiano secondo lei?

«Etica, moralità, umanità. E fame, voglia di arrivare. Insomma, gli ingredienti per ritrovare la retta via».

IvoRomano


Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top