Ho letto analisi molto preoccupate dopo la pubblicazione della ricerca Confcommercio secondo cui il 46,2% dei giovani sotto i 30 anni d’età sogna il posto fisso, il 37,7% punta a un lavoro autonomo e “solo” il 16% conta di aprire una propria impresa nei prossimi cinque anni. Un editorialista ha usato un’espressione pittoresca ed efficace: “riaccucciarsi sul posto fisso”. Ma siamo sicuri che sia un così gran male? Che questi giovani siano dei pavidi?
Non sono un economista ma anche così capisco bene che l’imprenditorialità diffusa è stato uno dei segreti dello sviluppo del nostro Paese. D’altra parte, la vocazione imprenditoriale resta alta: nel 2010 sono nate 17 mila imprese più di quelle che sono scomparse, e questo nonostante la crisi del 2008-2009 e i tempi certo non brillanti che ancora viviamo. Mi pare, però, che si corra il rischio di prendere per assoluto (tipo formula sicura del successo) quello che potrebbe essere relativo, e cioè lo spunto positivo di alcuni decenni.
Se diamo un’occhiata ai dati internazionali, scopriamo infatti che in Italia i titolari d’impresa sono il 22% della forza lavoro, superati solo dai loro colleghi in Grecia (27%). Vicino a queste quote c’è solo il Portogallo (21%). La Gran Bretagna resta al 12%; Usa, Germania e Francia addirittura al 10% della forza lavoro. Diremmo dunque che la Grecia è un Paese economicamente e socialmente più dinamico degli Usa, della Germania o della Gran Bretagna? Ed è proprio solo un caso se in testa alla graduatoria della “voglia d’impresa” ci sono tre Paesi latini?
Andiamoci piano, quindi. La microimpresa non è la panacea di tutti i mali. Tra l’altro, i giovani intervistati da Confcommercio sono positivi e ottimisti, convinti in larga maggioranza (60%) di riuscire prima o poi a fare il lavoro che sognano e per cui hanno studiato. Quindi non stanno lì a rodersi notte e giorno per la mitica impresa. Pensano, invece, che il segreto della riuscita sia nel mettere a profitto le capacità accumulate: a padrone, come si diceva una volta, o per conto proprio, non importa. Il che mi pare atteggiamento piuttosto saggio, non certo rassegnato.
Infine. Secondo Unioncamere, nel periodo 2002-2010 i titolari d’impresa di età inferiore ai 30 anni si sono ridotti del 23,5%, mentre quelli di età superiore ai 70 sono cresciuti del 5,2%. Questa indica abbastanza chiaramente, se ce ne fosse bisogno, un sistema complessivo in cui l’età non solo è un vantaggio importante, ma lo diventa ogni giorno di più. Perché stupirsi se i giovani cercano altre strade?