CAMICIE ROSSE, INTERESSI GIALLO CINA

Nel Paese dei colpi di Stato, delle Costituzioni usa e getta (14 dal 1932 al 1987) e degli “stati di emergenza” (4 dal 2008 a oggi), la protesta delle Camicie Rosse sta per essere soffocata nel sangue dal pugno di ferro dell’esercito. Nulla di troppo strano per la Thailandia, soprattutto se accettiamo l’idea che lo scontro, nominalmente in atto da un anno ma in realtà cominciato nel settembre 2006 quando i generali cacciarono con un golpe il premier Thaksin Shinawatra, non è tra un gruppo “più democratico” e uno “meno democratico” ma solo tra due diverse interpretazioni del privilegio e del potere.

Esercito e Camicie Rosse a confronto nel centro di Bangkok.

Esercito e Camicie Rosse a confronto nel centro di Bangkok.

Anche Thaksin, e dopo di lui Somchai Wongsawat, suo cognato e successore al Governo, ebbero le loro Camicie. Gialle ma ugualmente agguerrite: bloccarono gli aeroporti e misero in ginocchio il turismo pur di far vincere l’opposizione e di portare al potere il suo leader, l’attuale premier Abhisit Vejjajiva. I ragazzi che, vestiti di giallo o di rosso, si facevano e si fanno caricare dalla polizia o ammazzare dall’esercito non sono che la massa di manovra. Facile da reclutare in una popolazione per il 70% ancora dedita all’agricoltura (la Thailandia è prima nel mondo per esportazione di tapioca, seconda per quella di riso e caucciù, tra i primi per produzione di zucchero) ma proprio per questo succube della borghesia urbana che stabilisce i prezzi, dirige le esportazioni, controlla il credito e dal 2008 si è regalata una specie di monopolio sulle attività economiche con il Foreign Business Act, una legge che di fatto impedisce alle aziende straniere di investire in modo diretto nei settori trainanti del Paese.

In questa lotta tra lobby contrapposte, con l’esercito a fare da arbitro a bordo ring alle dipendenze del re Bhumibol Adulyadej (sul trono dal 1946), si inseriscono poi fattori che uniscono la lunga storia della Thailandia alle complicate vicende della geopolitica contemporanea. I thai della parte centrale del Paese, pur costituendo circa un terzo della popolazione, hanno per molti secoli dominato la scena politica e culturale. Negli ultimi decenni, però, è cresciuta oltre misura l’influenza della minoranza “cinese”, da sempre molto attiva nelle attività commerciali. Lo stesso Thaksin Shinawatra, una specie di “Berlusconi dell’Asia” per i suoi interessi nelle televisioni e nelle comunicazioni, ha origini cinesi. Ed è indubbio che la Cina giochi un ruolo crescente nelle scelte politiche dell’area: grazie alla superstrada che attraversa il Laos si è molto “avvicinata” alla Thailandia e il progetto di taglio dell’istmo di Kra, sponsorizzato appunto dai cinesi (e pari per importanza al canale di Suez e a quello di Panama), di fatto porterebbe Pechino ad affacciarsi sull’Oceano Indiano e di lì a raggiungere con facilità il Medio Oriente dei grandi giacimenti di gas e di petrolio.

Sarebbe un fortissimo impulso anche alle esportazioni e ai traffici della Thailandia e Bangkok potrebbe persino sostituire Singapore nel ruolo di perno commerciale di questa parte dell’Asia. Non a caso, le Borse hanno tenuto anche di fronte alla crisi e alle interminabili proteste delle Camicie prima Gialle e poi Rosse. Ma la Cina, inutile sottolinearlo, non fa nulla gratis. E certo non lascerebbe il nuovo canale a disposizione di un Governo tailandese magari non troppo “amico” o in vena di scelte autonome. Non c’è da stupirsi, dunque, che sulla direzione da prendere, e sulle conseguenze da affrontare, le élite che controllano Bangkok siano disposte  a scontrarsi fino alle soglie della guerra civile.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 16 maggio 2010

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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