IRAQ AL VOTO, UN ALTRO PASSO AVANTI

Le elezioni politiche in Iraq possono essere giudicate fantastiche o disastrose, dipende solo dal pregiudizio politico dell’osservatore. Nel 2005, a dispetto degli attentati, il voto si svolse in modo regolare e con la partecipazione dei sunniti, che pure avevano boicottato le elezioni provinciali e il referendum costituzionale. Quindi ci furono molti che si affrettarono a definirlo un trionfo della democrazia e della libertà. Seguirono tempi cupi e sanguinosi, emarginazione delle minoranze (prima fra tutte, quella cristiana), corruzione ai massimi livelli del personale politico.

Baghdad: elettori iracheni consultano le liste elettorali al seggio prima di votare.

Baghdad: elettori iracheni consultano le liste elettorali al seggio prima di votare.

Ieri è stato eletto il secondo Parlamento democratico dalla cacciata di Saddam Hussein in un Iraq che, nel frattempo, è cambiato a fondo. Il terrorismo colpisce ancora, e si è accanito nella giornata elettorale (40 morti e decine di feriti), ma si sente che ha perso slancio e determinazione. Le tensioni etniche e religiose sono state in parte assorbite dalla dialettica tra i partiti (18,9 milioni di aventi diritto al voto, 6 mila candidati, 325 seggi in palio), la presenza delle truppe americane è più discreta e molti investitori stranieri ormai provano ad “assaggiare” la ripresa economica, soprattutto nel settore del petrolio che fornisce il 95% delle entrate in valuta pregiata dell’Iraq. Chi esultava nel 2005 che cosa dovrebbe fare oggi?

Soldati iracheni mostrano il dito tinto di viola, la "prova" che hanno votato.

Soldati iracheni mostrano il dito tinto di viola, la "prova" che hanno votato.

Conviene invece affrontare anche questo voto come un passo avanti. Importante perché è stato fatto. La strada dell’Iraq è ancora lunga, sempre ammesso che qualcuno sappia con esattezza quale sia la meta. Gli iracheni affrontano il voto con entusiasmo ma l’affluenza ai seggi, secondo i

Il premier iracheno Nur al Maliki, sciita.

Il premier iracheno Nur al Maliki, sciita.

bilanci delle prime ore, andrà poco oltre il 50%. In Iraq c’è la democrazia ma da queste parti non vige la filosofia “una testa un voto” tipica dell’Occidente. Qui siamo in Medio Oriente, l’individuo conta quale parte di un’entità più ampia: la famiglia, il clan, la tribù, la fede religiosa. Gli sciiti, che sono quasi il 65% della popolazione, avranno sempre la maggioranza, e non pare che tra il partito del premier Nur al Maliki e quello dell’ex premier Ayad Allawi, entrambi sciiti, ci sia chissà quale differenza. Il Governo opera sulla base di un mandato popolare ma le minoranze sono abbandonate alla propria fragilità e alle pretese di egemonia violenta dei gruppi più forti. Il “jihadismo”, quando se ne parla a proposito della persecuzione dei cristiani del Nord (825 assassinati dal 2003, secondo la valutazione di monsignor Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk), è una vecchia canzone consolatoria: lì si muore tra iracheni per il petrolio e per il referendum che lo Stato non ha la forza di convocare.

Intanto, però, l’Iraq cammina. E lo fa con gambe un pochino più robuste. C’è stata, nella campagna elettorale, una bella presenza di candidate donne (1801), spesso attive e disinvolte, decise ad approfittare degli spiragli di parità che la spinta dei consiglieri Usa fece aprire nella Costituzione (82 seggi del Parlamento devono essere assegnati a donne) e nella legge elettorale (un terzo dei candidati deve essere donna). Anche questo un segno, e non da poco, se nel Sud del Paese le donne senza il velo ancora non possono girare tranquille per strada. Come altri, va colto senza dargli significati che forse non ha. Ciò che conta è che l’Iraq si muove, laddove altri si avvitano (l’Iran), si guardano intorno senza scegliere (la Siria) o si abbarbicano alle certezze di un tempo (i Paesi arabi) e, se appena possono, cercano di star fermi. Se continuerà a camminare, l’Iraq potrà dare molto a una regione cui da troppo tempo manca soprattutto una cosa: un buon esempio.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo dell’8 marzo 2010

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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