UCRAINA AL VOTO: COMUNQUE VINCE PUTIN

Mi vanto di essere stato tra i pochi a non aver ceduto alle illusioni e alla retorica quando, nel 2004, esplose in Ucraina il fenomeno chiamato Rivoluzione Arancione. Certo, le circostanze erano favorevoli: Viktor Yanukovic, il candidato appoggiato da Mosca, aveva goduto al primo turno di evidenti brogli e, per sua sfortuna, l’allora presidente Vladimir Putin, dal Cremlino, si era affrettato a dichiararlo vincitore anche prima che lo spoglio delle schede fosse completato.

Yulia Timoshenko ricevuta al Cremlino da Dmitrij Medvedev (a sinistra) e Vladimir Putin (sullo sfondo).

Yulia Timoshenko ricevuta al Cremlino da Dmitrij Medvedev (a sinistra) e Vladimir Putin (sullo sfondo).

      Sull’onda di quello scandalo e delle manifestazioni di piazza non era stato difficile per Viktor Yushenko, il candidato “democratico”, rovesciare il risultato nella ripetizione del voto. In più, c’era la propaganda della destra internazionale che, un anno dopo l’attacco contro l’Iraq di Saddam Hussein, voleva a tutti i costi farci credere che il mondo fosse in preda a un’unica ondata di diffusione della libertà e della democrazia.

     A parte la passione degli ucraini, che volevano affrancarsi dall’influenza di Mosca, tutto era il resto erano frottole. La campagna elettorale di Yushenko era stata abbondantemente (65 milioni di dollari, si disse) finanziata dagli Usa, proprio come quella di Yanukovic aveva goduto di robuste iniezioni di rubli. Diventato presidente, Yushenko nominò Yulia Timoshenko primo ministro e la strana coppia (i due sarebbero diventati acerrimi nemici nel giro di un paio d’anni) si abbandonò a una politica anti-russa così smaccata e grossolana da garantire un disastro. 

La mappa dell'Ucraina.

La mappa dell'Ucraina.

       E disastro è stato. Come con la Georgia, Putin ha coltivato con calma la propria rivincita. L’Ucraina ai tempi dell’Urss produceva il 25% di tutto il grano sovietico e il 30% del macchinario pesante. Il tutto, ovviamente, con sistemi e mezzi arcaici, che avrebbero potuto essere modernizzati solo con forti investimenti. Peccato che gli Usa, al momento delle elezioni prodighi di incitamenti, fossero dopo le elezioni assai meno prodighi di versamenti. Che l’Unione Europea, che gli ucraini consideravano (e ancora considerano) l’approdo ideale per il loro Paese, facesse subito capire di non avere intenzione di aprire le porte a Kiev. E che la Russia se la fosse legata al dito.

Yulia Timoshenko mette un fiore nello scudo di un poliziotto antisommossa: è il 2004, scoppi alla Rivoluzione Arancione.

Yulia Timoshenko mette un fiore nello scudo di un poliziotto antisommossa: è il 2004, scoppi alla Rivoluzione Arancione.

      Succede infatti questo: Ucraina e Russia hanno 1.576 chilometri di confine comune (e altri 891 l’Ucraina li divide con la Belorussia) e oltre il 20% della popolazione ucraina è russofona, in pratica russi con passaporto ucraino. La Russia fornisce all’Ucraina quasi il 100% del suo fabbisogno energetico, sotto forma di gas e petrolio. E non basta:  il 23,5% delle esportazioni ucraine finisce in Russia e dalla Russia arriva il 22% delle importazioni ucraine. In pochissime parole: oggi come oggi, senza un cordiale rapporto con la Russia, l’Ucraina potrebbe adare in fallimento.

      In queste condizioni, la Rivoluzione Arancione era, al più, una commovente manifestazione di buone intenzioni, altro che il capitolo di una democratizzazione mondiale. Ad agitare ancor più le acque, una classe politica di primedonne, un pollaio con troppi galletti usciti tutti dalle lotte di partito dell’era sovietica. Yushenko, il presidente che aveva promesso il decollo economico, l’ingresso nella Nato e quello nella Ue e non ha centrato alcun obiettivo, è l’ex Governatore della Banca Centrale. La Timoshenko, sposata giovanissima con un boss del Partito comunista ucraino, a 34 anni era già a capo del sistema energetico del Paese. Yanukovic, ex operaio che ha conosciuto la prigione per rapina e rissa, è l’ex governatore della regione di Donetsk.

      Con una delle sue piroette la Timoshenko si è riavvicinata a Mosca e ha smesso di parlare di ingresso nella Nato e con questo spera di superare nel secondo turno (7 febbraio) Yanukovic, che a Mosca è sempre stato vicino. Ma a collegare Kiev con il Cremlino non è la volontà politica dei due avversari (che per questa campagna hanno assoldato consiglieri elettorali americani: dell’ex team di Obama il filorusso Yanukovic, dell’ex team di McCain la progressista Timoshenko…), bensì la geografia e la necessità economica. Ormai, è quasi indifferente chi sarà il vincitore.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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