Questa storia della “riabilitazione” di Bettino Craxi, di cui oggi ricorrrono i dieci anni dalla morte, è un’altra di quelle farse di cui noi italiani siamo specialisti. Non per la sostanza: ogni movimento politico ha il diritto di darsi le bandiere che crede e, nel caso, riabilitare chi vuole. E non bisogna essere un genio per capire che il primo socialista italiano a ottenere la poltrona di premier (nel 1983) non poteva essere un tizio qualunque. E’ il modo a essere cialtronesco: pellegrinaggi, ex piduisti che ci spiegano che cos’è la traparenza in politica e il solito clima da curva Sud, l’arbitro sempre cornuto e Craxi che può essere solo un gigante della storia o un ladro matricolato.
Chissà perché nessuno sembra sopportare l’ipotesi più semplice, ragionevole e sensata: che Bettino Craxi avesse pregi e difetti, che possa aver fatto ottime cose e pessime cose. Che, magari, sia stato un ottimo politico e un modesto uomo. Come, del resto, è già successo a moltissimi altri leader politici del nostro e degli altri Paesi.
Se uno esamina il suo percorso pubblico (durato meno di vent’anni, dall’elezione alla carica di segretario del Partito socialista italiano nel 1976 alla latitanza in Tunisia cominciata nel 1995), trova esattamente ciò di cui si diceva: un’alternanza di ottime e pessime cose. Intanto, rivitalizzò il suo partito e per molti anni lo tenne al centro della scena politica. E lo fece staccandolo da qualunque forma di soggezione rispetto alla tradizione comunista e all’ipocrisia che in quel periodo ancora circondava l’agonizzante mito del “socialismo reale”.
Ma prendiamo ciò che interessava tutti gli italiani, cioè l’azione di governo, che si sviluppò dal 1983 al 1987 in due Governi consecutivi.
– Nel 1984 fu firmato il nuovo Concordato con il Vaticano, con l’abolizione della nozione di “religione di Stato” e l’istituzione dell’8 per mille.
– Nel 1985 fu tagliata di quattro punti la “scala mobile”, prima con una durissima battaglia parlamentare e poi respingendo, abbastanza a sorpresa, un referedum abrogativo.
– Dal 1983 al 1987 l’inflazione scese dal 16% al 4%, i salari crebbero di quasi 2 punti più del tasso d’inflazione e lo sviluppo dell’economia italiana fu secondo solo a quello del Giappone.
Non so se ce ne sia abbastanza per definire Craxi “uno statista” (allora Bismarck e De Gasperi come li chiamiamo?), di certo è più di quanto serva per dire che il leader socialista ha fatto cose importanti e ha occupato un posto importante nella storia italiana del dopoguerra. C’è tutta una serie di politici e di politicanti, però, a cui questo non basta. Craxi lo vogliono santo, proprio come tanti comunisti negli anni Novanta lo volevano brigante e basta. Secondo costoro, le sentenze che inchiodarono Craxi non furono la conseguenza di precise responsabilità penali ma l’ultimo atto di una congiura. Come se la tangente di 17 miliardi di lire (pagata dalla Sai per ottenere il monopolio dell’assicurazione di 120 mila dipendenti Eni) per cui Craxi fu condannato a 5 anni e 5 mesi, e la tangente per la costruzione della metropolitana (in quei tempi 1 chilometro di binari costava 192 miliardi di lire, quasi cinque volte più che nel resto d’Europa) e del passante ferroviario di Milano per cui Craxi fu condannato a 4 anni e 6 mesi, fossero bubbole, invenzioni di chissà chi. L’idea della congiura fa ridere i polli. E le dichiarazioni della figlia, Stefania Craxi, sul fatto che Craxi non avesse capito quanto fosse corrotto il Partito socialista, vanno prese per ciò che sono: una filiale (e per questo rispettabile) dichiarazione d’amore. E poi non c’è solo questo. Qualche ombra corposa si allunga anche sull’azione di governo del Craxi primo ministro. Della riduzione dell’inflazione e dello sviluppo si è detto. Ma in quegli stessi anni il debito pubblico passò da 234 a 522 miliardi di euro (valuta 2006) e il rapporto tra il debito e il Pil (Prodotto interno lordo, cioè la ricchezza del Paese) dal 70 al 90%. Una voragine che nessuno ha più saputo colmare, il debito a cui ora tra l’altro si appella Silvio Berlusconi per non ridurre le tasse.
E a proposito di Berlusconi: fu Craxi a varare il cosiddetto “decreto Berlusconi” nel 1985, salvando le reti del Cavaliere (del quale era stato testimone di nozze) dalla chiusura ordinata dai pretori di Torino, Roma e Pescara. Da un lato un mercato televisivo asfittico e inchiodato sul monopolio Rai mentre il resto del mondo apriva ai privati, dall’altro la solita politica degli amici degli amici. Questa è stata, in sintesi, la realtà del craxismo. Ma come al solito la realtà piace poco alla politica italiana: troppo piena di sfumature, troppo larga per i soliti quattro slogan. Per quanto riguarda me, la vedo così: Craxi fu un grande politico e un grande corrotto. E’ giusto che il giudizio politico venga dalla storia, è doveroso che quello penale arrivi dalla magistratura.