MA IL “TETTO” GELMINI MI PARE SENSATO

La qualità di un’opposizione si giudica, anche, dalla capacità di scegliere il terreno di scontro. Così mi sono parse inutili e rituali, condotte sul terreno sbagliato, le critiche alla decisione del ministro Gelmini di istituire un tetto del 30% per gli studenti stranieri nelle scuole italiane.

     

Un ragazzo immigrato impegnato nello studio dell'italiano.

Un ragazzo immigrato impegnato nello studio dell'italiano.

      A me, al contrario, il provvedimento pare sensato, soprattutto se visto come un primo, pragmatico passo per definire una concreta procedura di reale inserimento degli immigrati. Qualcosa, in ogni caso, andava e va fatta. Nell’anno scolastico 2008/2009 gli alunni con genitori stranieri sono stati 628.937 su un totale di 8.943.796 iscritti, cioè il 7%, con una presenza assai elevata nelle classi delle scuole elementari. Il 30% è una quota abbastanza ampia per non farli sentire ghettizzati in classe e abbastanza ridotta perché l’eventuale ritardo linguistico e culturale di alcuni di loro non sia di ostacolo alla didattica. L’introduzione del tetto, inoltre, evita che si formino classi per soli stranieri o quasi, come ormai spesso avviene nelle grandi città, dove il costo dell’istruzione e il pregiudizio xenofobo spingono i genitori italiani a “fuggire” verso scuole dove gli stranieri sono pochi.

      Detto questo, è chiaro che i problemi non mancano e non mancheranno, soprattutto perché l’idea della Gelmini cade in un contesto culturale che demonizza l’immigrazione ed è quindi incapace di dotarsi dell’apertura mentale e degli strumenti che servono a interpretarla e a gestirla. Il 37% dei ragazzi con genitori stranieri che frequentano le nostre scuole, per esempio, è già nato in Italia: siamo sicuri che questi ragazzi, che spesso parlano italiano meglio dei coetanei italiani, si sentano stranieri? E poi: come gestire le sfumature regionali di un problema che è marginale al Sud e molto rilevante in Umbria, Emilia Romagna e Lombardia? Il numero degli stranieri dipende dal mercato del lavoro, il tetto andrà gestito con saggezza. E ancora: rispetto all’inserimento in corsi scolastici italiani, anche gli stranieri non sono uguali tra loro. Imparare l’italiano può essere difficile per un marocchino e irrisorio per un rumeno.

     

Mariastella Gelmini, ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.

Mariastella Gelmini, ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca.

      Se ho un timore, è questo: che sia il solito provvedimento spot, isolato, fuori da qualunque contesto, la tipica decisione gonfia di retorica per compiacere l’elettorato moderato o retrivo in vista delle elezioni regionali. Un provvedimento da Lega Nord, insomma, tutto divieti, limiti, retorica della voce grossa e basta. L’inserimento degli studenti stranieri non è una concessione che facciamo a dei poveracci: è il diritto di gente che è in Italia per lavorare, quindi per produrre, quindi per contribuire alla ricchezza del Paese. Il tetto Gelmini può aiutare le classi a studiare meglio ma non è, di per sé, un contributo all’integrazione, nonostante che in tutto il mondo la scuola sia ritenuta il principale canale per l’inserimento sociale degli immigrati.

      Gli studi più avanzati a livello europeo (si veda il recentissimo Integrating Immigrant Children into Schools in Europe, realizzato dall’ Agenzia dell’Unione Europea sull’Educazione) raccomandano una intensa comunicazione tra le scuole e famiglie degli “stranieri” e l’istituzione di corsi parascolastici della lingua madre del ragazzo ancor più che di quella del Paese d’adozione (nel nostro caso di arabo o rumeno o albanese o cinese più che d’italiano), e molti Paesi si sono già attrezzati siglando accordi bilaterali con i Paesi che più producono emigrazione. La Gelmini parla ora anche di “classi ponte” a termine. Ma qualunque sia l’ipotesi, servono risorse e capacità. Dove andremo a prenderle, visto che la recente riforma della scuola è stata fatta anche per risparmiare ed eliminare il maggior numero possibile di insegnanti?

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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