NEL 2009 DELLA CRISI VINCE SOLO LA CINA

Il Paese vincente nel 2009? Secondo me, la Cina. Molto più quest’anno che non nel 2008, quando pure le Olimpiadi offrirono a Pechino l’occasione di una sontuosa e giustificata autocelebrazione in mondovisione, con un effetto moltiplicato dalla noncuranza con cui i dirigenti cinesi affrontarono le proteste occidentali sul Tibet e sullo Xinjang. La mia nomination potrebbe essere spiegata con un solo dato: nel 2009 l’economia cinese è cresciuta di un altro 8,5%, proprio mentre quella americana subiva un -2,5% e quella della zona euro addirittura un -4%. E per il 2010 gli analisti prevedono uno sviluppo cinese di nuovo intorno all’8-9%. Di sorpassare gli Stati Uniti non se ne parla, ovviamente: il Pil (Prodotto interno lordo) americano sfiora i 15 mila miliardi di dollari di valore, quello cinese ruota intorno ai 5.500. Negli ultimi anni, però, la Cina ha inciso parecchie tacche sulla sua pistola economica: sorpassata la Francia nel 2005, la Gran Bretagna nel 2006, la Germania nel 2007, raggiunto e superato il Giappone nell’anno che si chiude tra poche ore.

     

Un gruppo di hostess cinesi in gita sulla piazza Tien An Men a Pechino.

Un gruppo di hostess cinesi in gita sulla piazza Tien An Men a Pechino.

      La lista dei primati cinesi è ormai lunghissima. Il Regno di Mezzo (l’antica denominazione del Paese, in mandarino Chung Kuo) oggi produce l’80% di tutte le lampadine a basso consumo e il 50% di tutti i telefoni cellulari del mondo funzionanti nel mondo, è il primo produttore di pannelli solari e di televisori a colori, la Lenovo è il quarto maggior produttore mondiale di computer, le acciaierie cinesi valgono da sole il 40% della produzione mondiale. E’ inoltre leader mondiale nella produzione di macchine fotografiche digitali, biciclette, racchette da tennis, cemento, ceramica, aspirina, Nylon, tabacco, calzature e grano. E’ dato per scontato che nel 2010 raggiungerà quella posizione anche nella produzione di navi e imbarcazioni (strappando il primato ai cantieri navali della Corea del Sud), mentre ha bruciato di qualche mese le previsioni superando già in dicembre gli Stati Uniti per numero di automobili vendute e immatricolate: 12,7 milioni nel 2009 in Cina, 10,4 milioni nello stesso periodo negli Usa.

Pubblicità dell'IPhone a Pechino.

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      I puri e semplici dati economici, però, non basterebbero a dire che il 2009 è stato l’anno della Cina. I primati fanno spettacolo e folklore, a volte indicano un raggiunto benessere, ma non sempre fanno “potenza”. Proviamo dunque ad approfondire con altre considerazioni.
1. Il sorpasso ai danni degli Usa (ma non dell’Europa, che ancora primeggia con 14,5 milioni di auto vendute) nel settore automobilistico è un indicatore di salute. Ma, fatto ancor più importante, mostra che la dirigenza cinese ha saputo approfittare della crisi economica globale per imprimere una nuova direzione alla propria economia. Con l’arrivo della crisi, infatti, le esportazioni cinesi sono crollate di oltre il 20%, costringendo il Governo a rivolgersi ai consumi interni e a incentivarli con una serie di sgravi fiscali. Il boom dell’automobile è figlio di questa politica, che non potrà essere mantenuta troppo a lungo ma che nel frattempo ha garantito ritmi di crescita ancora elevati e, non meno importante, una certa pace sociale. Allo stesso tempo, investendo largamente (il sistema bancario cinese dispone di riserve in valuta estera per 2.272 miliardi di dollari) in infrastrutture (strade, porti, stazioni, aeroporti, centrali nucleari), il Governo cinese ha evitato il crollo dei livello occupazionali e ha rimodernato settori decisivi per il futuro del Paese.

La mappa della Cina con le diverse regioni amministrative.

La mappa della Cina con le diverse regioni amministrative.

      2. Anche la determinazione con cui la Cina ha perseguito la propria politica energetica è sintomo del nuovo status mondiale ottenuto dal Paese. La Cina ha difeso il dittatore genocida del Sudan, Omar Hassan al Bashir, e ha sabotato gli sforzi internazionali per mettere sotto controllo le ambizioni atomiche dell’Iran, pur di garantirsi i rifornimenti di petrolio vitali per la sua crescita. In queste settimane ha inaugurato il nuovo gasdotto che arriva dal Turkmenistan (passando per lo Xinjang degli uiguri, opportunamente repressi) e ha siglato con la Birmania un accordo per la costruzione di un oleodotto di 770 chilometri, progettato dalla China National Petroleum, per portare il greggio dall’Oceano Indiano fin dentro le proprie frontiere. Nessuno è stato in grado di opporsi o inserirsi nel gioco. Le vecchie risse tra Usa e Russia per gli oleodotti nel Caucaso sembrano ora dei bisticci tra ragazzi.
3.   Collegato allo sviluppo industriale e alle risorse energetiche, ecco il tema ambientale. La Conferenza sul mutamento climatico di Copenhagen, secondo molti un fiasco, è stata una grande vittoria diplomatica della Cina, che si è imposta a tutti su due punti decisivi: ha ottenuto che fosse cancellato dall’agenda l’impegno a ridurre del 50% le emissioni entro il 2050 e che fossero resi molto più “morbidi” i controlli internazionali sui comportamenti nazionali in materia di inquinamento. Un grosso successo per il Paese che, all’inizio della Conferenza, era sul banco degli imputati quale primo Paese inquinatore del mondo.
4. Una “potenza” non può definirsi tale se non gode della considerazione delle altre potenze. Per tutto il 2009 abbiamo visto la prima delle superpotenze (gli Usa) studiare tutte le formule diplomatiche possibili per arrivare, senza dirlo, a trattare faccia a faccia con l’unico Paese che consideri un degno interlocutore: appunto la Cina. Obama ha celebrato l’Onu e il G8, si è inventato il G20 per dare soddisfazione e rappresentazione ai Paesi non più emergenti ma emersi (Brasile, India), ma ha riservato le trattative più vere e decisive al G2 con i dirigenti cinesi.

      Tutto questo, ovviamente, non è a costo zero. Non lo è per la Cina e non lo è per il resto del mondo. Per tutti c’è un prezzo da pagare e qualche rischio da correre. Proviamo nella seconda parte di questo post a vedere quali e quanti.

(1.continua)

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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