MAZZI PER NATALE 2: LA SOCIETA’ DELL’EGO

Qualche settimana fa ho passato un pomeriggio con don Antonio Mazzi. Il personaggio è noto, anche grazie alla Tv. Pur avendolo sfiorato di continuo (è un collaboratore fisso di Famiglia Cristiana) non gli avevo mai parlato molto a lungo. Questa è la seconda parte di quell’incontro.

donmazzi22

– Ma secondo te, con le cose che fai e il modo in cui ti proponi, alla fine ti capiscono?
      «Lo so, mi considerano un prete superficiale perché vado in televisione,
frequento i cantanti, mi piace il calcio e tifo per l’Inter. Ma la gente capisce, eccome. I raffinati intellettuali non sempre. È difficile capirmi anche per due ragioni. La prima è che maschero tutto ciò che faccio con un tocco di follia. Ho sempre dormito poco, lavoro 18-20 ore al giorno, ho scritto di notte tutti i miei libri. Una notte la settimana la passo in preghiera, anche perché devo rimettere ordine nell’animo e nella testa. Però lascio dire. Noi veronesi siamo un po’ matti, lo sapeva anche mia madre, ne parlavo sempre con Vittorino Andreoli che con me è stato all’origine di Exodus: questo ci aiuta a non prenderci troppo sul serio e a stare sereni».
– E l’altra ragione?
      «Credo che noi preti dobbiamo essere più testimoni e meno chiacchieroni. Dobbiamo vivere con i poveri, non per i poveri. La mia tesi è che il Vangelo è l’apologia della scartina. Il primo Papa della Chiesa è stato Pietro, un pescatore qualunque, uno che tradisce Gesù. Il primo ad andare in paradiso è stato il ladrone. Erano scartine i dodici apostoli. Gesù, per i sacerdoti e gli scribi, non era forse una scartina? Il Vangelo è la storia di Dio che si fa scartina per amore. A 80 anni posso dire che è stata proprio quest’idea a salvarmi».
– Non hai la sensazione che il lavoraccio di perdonare sia affidato ai soliti noti, in modo che tutti gli altri possano in definitiva farsi gli affari propri?
      «Succede perché la Chiesa non è molto testimone di ’sta roba. Io farei fatica a non perdonare, anche perché è l’idea che ha orientato tutta la mia vita. Noi misuriamo la parola peccato sui Comandamenti. Ma chi sbaglia non fa solo peccato: va contro la natura, sé stesso, la famiglia, gli amici. Io ho impiegato anni ad accettarmi e ce l’ho fatta solo grazie a un bambino».
– Quale bambino?
      «Quello che ho incontrato quando avevo vent’anni, nella Città dei ragazzi,
dopo l’alluvione del Polesine. Quello che era stato violentato dai suoi. Quello che mi ha fatto diventare il prete che sono. Non so che cosa sarebbe stato di me se fossi nato un po’ più tardi».
– Confronto abusivo, serve per capirci: Polesine 1951, Abruzzo 2009. Com’è cambiata l’Italia in questo lungo intervallo che è poi la tua vita?
      «Credo che oggi il criterio dominante nella vita degli italiani sia l’egoismo. E quando pensi tanto a te stesso, tutto il resto viene dopo: la famiglia, la maternità, i poveri…».
– È una mutazione recente?
      «Quando sono arrivato a Milano, nel 1979, il problema della sicurezza in città, con il terrorismo e la droga, era molto più grave di oggi. Ma la città era più solidale. Adesso gonfia i problemi e non li affronta, allora aveva problemi enormi ma li affrontava».
– Fenomeno milanese o italiano?
      «Le città che conosco meglio sono queste della dorsale lombardo-veneta.
E trovo migliori, pensa tu, le città del Sud. Ho cinque comunità in Calabria e la reputo migliore della Lombardia. La Basilicata, le Marche… Non so se sia perché laggiù non è ancora arrivata questa maledetta voglia di consumare a ogni costo, ma sono posti dove parlare con la gente è più semplice, più vero. Bisogna convincere le persone a liberarsi dalle dipendenze: non solo le droghe, tutte le dipendenze. Perché questa società ti crea un bisogno, quindi una dipendenza, al giorno. È il Vangelo, no? Beati i poveri di spirito, cioè i liberi. I liberi».
– È una domanda sciocca ma inevitabile a conoscerti: qual è il segreto per arrivare così in forma agli 80 anni? Avere un sacco di grane?
      «Stranamente ho fatto sempre una vita molto…».
– Non starai per dire regolare?
      «No, ascetica. Ho sempre avuto molto rispetto per me stesso, anche nel
corpo. Me l’ha insegnato mia madre. Vengo da una famiglia povera e me lo porto dietro con orgoglio».

(2. fine)

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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