MAZZI PER NATALE 1: IL PADRE E IL PRETE

Qualche settimana fa ho passato un pomeriggio con don Antonio Mazzi. Il personaggio è noto, anche grazie alla Tv. Pur avendolo sfiorato di continuo (è un collaboratore fisso di Famiglia Cristiana) non gli avevo mai parlato molto a lungo. Mi piace pubblicare per Natale il grosso di quell’incontro.

     

Don Antonio Mazzi, 80 anni compiuti da poco, fondatore della comunità Exodus.

Don Antonio Mazzi, 80 anni compiuti da poco, fondatore della comunità Exodus.

      “Il cinquanta per cento delle cose che faccio ogni giorno sono sbagliate, va bene?”. Si parte col piede giusto. Ho dato un’occhiata in archivio e di santini di don Antonio Mazzi, 80 anni da poco, fondatore della comunità Exodus e di un mare di altre cose, ne ho trovati così tanti da farmi passare la voglia. E poi, siamo sinceri: questi preti “impegnati nel sociale” siamo più abituati ad ammirarli che ad ascoltarli. Così questa non è un’intervista, né il bilancio di una vita già lunga e piena. Un tentativo d’ascolto, forse, in una stanza in mezza luce, il registratore dietro un cestello di amaretti. Sul tavolo di don Mazzi, una coppa vinta nel calcio e un piccolo otre d’olio. Niente computer. Nella libreria, vangeli, testi di spiritualità e psicologia, una storia della rivoluzione bolscevica. Cinquanta per cento: non è tanto?

      «Figurati. Con una sessantina di strutture sparse per il mondo, i casi più disperati intorno e risposte che bisogna dare in pochi minuti, è chiaro che la sera devo sempre domandare perdono al Signore. E mi viene anche paura, il che è una grande fregatura».
– Perché? Non è segno di prudenza?
      «La paura di perdere i ragazzi spesso ti gioca contro. Se non avessi provato così tanto l’ansia del padre, se fossi stato meno preoccupato, se avessi aspettato un giorno o due in più… Cosa credi, ho fatto più di 300 funerali. Ci sono stati anni in cui ne facevamo 50 o 60. In certi periodi i ragazzi morivano uno dietro l’altro».
(La voce di don Antonio si riduce a un bisbiglio impossibile da registrare. A ferragosto, nel giro di qualche giorno, sono morti in tre. La ragazza di 26 anni, «bellissima, bravissima, impegnata», che si è lanciata dal decimo piano. Il ragazzo di 33, che hanno trovato nella vasca da bagno.Il ragazzo di 18, che se n’è andato,ha bevuto e poi, forse per caso o forse no,è rotolato in una scarpata con l’auto)
– Ti senti in colpa?
      «Certo. Perché io qui faccio soprattutto il padre, solo che al posto di avere 4 figli ne ho 400. E i ragazzi di tutto il mondo, non solo i miei della comunità, soffrono della mancanza del padre. Uno dei miei grandi pallini è questo: la mamma mette al mondo il bambino, il padre mette al mondo l’adolescente, è quello che aiuta suo figlio a diventare grande. Poiché oggi simili padri mancano, poiché manca il traghettatore tra le due stagioni, i bambini restano sempre bambini. Quindi, a 80 anni, se dovessi tornare indietro, chiederei al Signore di farmi fare ancor più il padre, anche se ho un caratteraccio, strepito e in fondo sono rimasto un contadino».
– Molti annuiranno con entusiasmo. Non tutti sanno, però, che tu hai un’idea un po’ particolare e molto impegnativa, della paternità. Dici che un padre che non perdona non è un padre ma un padrone.
      «Vero. C’è chi legge il Vangelo delle parabole: bello, bello. C’è chi legge il Vangelo dei miracoli: bello, bello. Ma il Vangelo più vero è quello di Gesù che diventa Padre e del Padre che diventa un pezzo di pane. La nostra fede ha portato questa rivoluzione nella storia perché Dio ha fatto quel che ha fatto per crearci, ma per salvarci si è trasformato in un pezzo di pane. Essere padre vuol dire saper perdonare settanta, settecento volte sette. Essere disponibili a lasciarsi spezzare per diventare pane».
– Da qui, anche, l’accusa che spesso ti è stata fatta di essere un “perdonista” di professione. Ogni volta che capitava qualcosa di orrendo tu saltavi subito in mezzo a chiedere un gesto di perdono. Come con Erika e Omar, per fare solo un esempio.
      «Questa storia è cominciata molto tempo fa, quando dissi a Marco Donat
Cattin di venire in comunità nel momento in cui lui era l’immagine stessa
del terrorismo. Ebbi una polemica con Indro Montanelli, secondo lui avrei dovuto prendere solo i dissociati e non anche i pentiti. Ma qui il buonismo non c’entra. È che il perdono non accetta sfumature: o perdoni o non perdoni. Se perdoni sei nel Vangelo, se non perdoni sei fuori. D’altra parte, i nostri figli li salviamo perdonandoli. Il figlio si aspetta che il padre, semmai, tiri la sberla. Se lo perdoni è obbligato a chiedersi: perché non va fuori di testa? In più, tutte le volte che ho perdonato mi è andata bene».
– Per esempio?
      «L’ultimo: una delle ragazze che nel 1999 uccisero suor Maria Laura Mainetti. Abbiamo avuto un lunghissimo colloquio anche ieri. Si meraviglia proprio perché non la giudico, mentre lei non riesce, in alcun modo, a perdonarsi. E io le dico: sarai salva il giorno in cui ti perdoni. Non perché cancelli ciò che hai fatto, ma perché trasformi la sofferenza in un progetto di vita».
– Roba da cattolici.
      «Ma la cultura laica non ha mai capito niente di questo. Il concetto di perdono è trasversale alla vita. Una madre che non perdona il figlio, un marito che non perdona la moglie, che sia cattolico o no, non può amare».

(1. continua)

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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