COPENHAGEN: CLIMA O NO, UN FLOP CI STA

La domanda più semplice è anche quella che più raramente ci poniamo: perché è così difficile raggiungere un accordo internazionale per la riduzione delle emissioni a effetto serra? Perché gli uomini di potere sono cattivi? Non si direbbe, visto che mai come ora si era avuta, in passato, una consonanza globale sul fatto che lo stato del pianeta è a rischio. Perché la gente è indifferente? Nemmeno questo è vero. Certo, gridare troppo spesso “al lupo al lupo” non ha giovato alla causa ambientalista, e così gli americani convinti che il riscaldamento globale sia un rischio concreto sono scesi dal 71% del 2008 al 57% del 2009 (sondaggio Gallupp) e gli italiani dal 90% del 2007 al 71% del 2009 (Osservatorio Scienza e Società). Ma si tratta pur sempre di solide maggioranze, moti d’opinione che in altri campi avrebbero smosso le montagne.


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      Quindi, di nuovo: perché non il clima? Per avere una spiegazione dovremmo forse guardare in modo meno emotivo alle ragioni dell’economia e della politica. I più grandi inquinatori del mondo sono, come sappiamo, Cina e Usa, con 6,2 e 5,8 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica l’anno. La Cina ha sorpassato gli Usa nel 2006 ma i due casi sono comparabili solo per le statistiche. Un americano direbbe: ridurre le emissioni in modo paritario (per esempio, come provocatoriamente dice l’Europa, del 30% entro il 2020) significherebbe affrontare spese enormi di riconversione industriale e regalare alla Cina, dove il costo del lavoro e di tante altre cose è assai inferiore, un vantaggio economico pazzesco. Sarebbe un suicidio. Questo è anche, più o meno, il ragionamento del Governo italiano e dei Governi di molti dei Paesi industrializzati da vecchia data. Un cinese invece direbbe: “La Cina “vale” il 20% delle emissioni di tutto il mondo. Ma la Cina ha anche il 20% della popolazione del mondo. Gli Usa hanno solo il 4,6% della popolazione ma producono quasi il 20% delle emissioni. Tocca a loro darsi una regolata”.

               Il vero guaio sta nel fatto che sia il cinese sia l’americano hanno in qualche modo ragione. Già questo basterebbe a rendere complicata qualunque ipotesi di accordo. In più, ci si mettono pure le mutate condizioni della politica internazionale. Per diverse ragioni (a Occidente la crisi, a Oriente lo sviluppo impetuoso degli ultimi anni; da un lato la sete di energia, dall’altro il capitale umano facilmente spendibile), si è prodotto un livellamento che solo pochi anni fa era fuori di ogni immaginazione. Gli Usa, sia come potenza economica sia come potenza militare, non sono più in grado di dettar legge nel mondo. Certo, sono ancora la nazione di riferimento ma non più quella leader. E’ stata proprio questa l’amara lezione della presidenza Bush, ed è questo il precetto che Obama non dichiara ma segue.

I Paesi ricchi, i Paesi poveri e il problema dell'emissione di gas a effetto serra. Il tutto, spiegato ai bambini.

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      Quando si parla di trattati internazionali, di grandi accordi, di sistemazioni strategiche, la Casa Bianca sa di non poter imporre più nulla non solo alla Cina ma nemmeno alla Russia, all’India, al Brasile e all’Unione Europea. Ha sempre ottimi argomenti per convincere, e spesso ci riesce, ma armi spuntatissime per imporre. Non a caso, a margine dei summit globali falliti o mezzi falliti fioriscono summit bilaterali pieni di risultati, come proprio ieri hanno dimostrato Obama e Medvedev mettendo solide basi per un nuovo trattato sul disarmo. E’ più facile, dunque, che si produca l’equilibrio, la stasi, anche l’incertezza, quando le volontà che si confrontano sono numerose e poderose. Niente di troppo male, in fondo. E’ il mondo multilaterale che abbiamo spesso invocato: più bello e forse più giusto, certo più complesso.

Pubblicato sull’ Eco di Bergamo del 18 dicembre 2009

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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