Siamo nell’anno sacerdotale, aperto dal Papa il 19 giugno. Escono libri su libri dedicati alla condizione del prete e alla sua missione. E’ scomparso da poco un sacerdote, il paolino don Giuseppe Soro, al quale mi legava molto affetto. Erano già ragioni sufficienti per farci qualche pensiero (io, poi, ci vivo e ci lavoro in mezzo, ai preti) quando sono successe due cose che mi hanno anche spinto a scrivere. La prima: in Irlanda, il ministero della Giustizia ha pubblicato un massiccio documento di 700 pagine intitolato Report into the Catholic Archdiocese of Dublin (Rapporto sull’Arcidiocesi cattolica di Dublino) che documenta una lunga serie di abusi sessuali e violenze commesse da sacerdoti della diocesi tra il 1975 e il 2004. Sono 46 i preti finiti sotto accusa per almeno 320 casi di sevizie. Alcune storie sono pazzesche: un sacerdote ha confessato di aver abusato di almeno 100 bambini e ragazzi, un altro di aver usato violenza a un ragazzino diverso ogni due settimane per tutta la durata del suo ministero: 25 anni.
Lo stesso Dermot Ahern, ministro della Giustizia, non è riuscito a trattenere lo sdegno mentre illustrava l’esito delle indagini e ha promesso che i colpevoli saranno perseguiti, “perché devono sapere che la giustizia, anche dove è stata ritardata, non verrà negata”. Il Report mette sotto accusa anche quattro arcivescovi che, nel periodo indicato, preferirono gestire i casi di pedofilia e violenza all’interno della Chiesa, senza denunciare mai alcuno, di solito spostando i colpevoli da una parrocchia all’altra (dando così loro occasione di trasferire vizi e peccati in altro luogo), risolvendosi a spretare solo due sacerdoti in vent’anni. In definitiva, assai più preoccupati dell’eventuale scandalo che della salute e dello spirito delle centinaia di bambini abusati dai sacerdoti.
L’esito delle indagini ha sconvolto la cattolicissima Irlanda, anche perché è stato preceduto di poco da un altro sconvolgente documento, il cosiddetto Rapporto Ryan, pubblicato in maggio, che ripercorreva la storia degli istituti educativi cattolici irlandesi tra gli anni Trenta e Ottanta. Oltre 100 tra scuole e collegi dove le violenze erano “endemiche” e le umiliazioni continue, quasi sempre con la complicità dei vertici degli ordini religiosi e con l’indifferenza degli ispettori governativi.
Un quadro da incubo, insomma. Anche se possiamo chiederci quale altra istituzione, laica o religiosa, avrebbe affrontato con tanto coraggio una simile scarnificazione in pubblico, con i vertici della Chiesa locale (personaggi quasi mitici a Dublino e in Irlanda, come gli arcivescovi John Charles McQuaid, Dermot Ryan, Kevin McNamara e Desmond Connell) trasformati, a torto o a ragione, in complici e protettori di pedofili. La Chiesa irlandese ha addirittura formato una propria commissione d’inchiesta che ha collaborato con quella governativa, al punto da essere ringraziata nel Rapporto del ministero della Giustizia.
E qui, tra pensieri tutto sommato foschi, si è innestato il secondo dei fatti che mi hanno spinto poi a scrivere. Sul Corriere della Sera sono pubblicate le risposte del cardinale Carlo Maria Martini, insigne biblista e dal 1980 al 2002 arcivescovo di Milano, alle lettere dei lettori. In una di tali lettere veniva posto l’accento sulla crisi delle vocazioni, sui seminari spesso quasi deserti, sui quartieri, sui paesi e sulle città che fra poco non avranno più sacerdoti. Martini, con la saggezza degli anni e la sapienza degli studi, risponde con grande pacatezza. Così: “Sono d’accordo che è molto importante per la Chiesa interrogarsi sulla sua grave situazione in Occidente. Tuttavia non bisogna solo partire dall’analisi delle messe domenicali poco frequentate, ma considerare il grande potenziale di dono che esiste in molti giovani. Anche una revisione delle norme di accesso al ministero potrebbe aiutare in questo senso”.
Non voglio pasticciare con questioni più grandi di me come la formazione dei sacerdoti. Ma dopo tanti anni passati come giornalista a lavorare nel grande giornale di una grande congregazione religiosa (e il rapporto laici-religiosi, pur dentro una stessa idea, non è dei più facili) e come persona a barcamenarmi con le mie scarse doti di cattolico, credo di poter dire due cose. La prima: dentro un prete c’è un mistero. Non il Mistero della vocazione religiosa, ovvio e impenetrabile, ma un nocciolo di “qualcosa” di umano che risulta comunque assai difficile da spiegare per chi prete non è. La seconda: un buon prete è un magnifico e prezioso dono di Dio. Non a caso quando manca ce ne accorgiamo subito. E se non ce ne accorgiamo, scopriamo dopo, come in Irlanda, quanto grave può essere il danno.