Ancor più curiosamente, qualcuno ha voluto tirare in ballo il fondamentalismo islamico. Che certo alligna nelle viscere di queste società e crea pericoli, ma che in questa occasione è stato semmai evocato, nella persona di più o meno autorevoli esponenti religiosi, per placare gli animi e ricondurli alla ragione. Dimenticando, anche qui con una certa ipocrisia, che l’Algeria è governata da un Presidente (Abdelaziz Bouteflika) che fu insediato nel 1999 dai generali dell’esercito e che l’Egitto è affidato a un rais (Hosni Mubarak) che regna dal 1981 e che ha messo fuori legge ogni movimento o partito che destasse anche solo il sospetto del fondamentalismo.
Dai tormenti politico-calcistici di Algeria (che andrà ai Mondiali vendicando così lo smacco del 1989, quando invece con analoghi disordini si qualificò l’Egitto, sei volte campione d’Africa) ed Egitto possiamo invece trarre qualche lezione più seria. I due Paesi non si amano e non si sono mai amati perché incarnano due diverse vocazioni nazionali. L’Egitto è il Paese africano che manifesta la più spiccata vocazione alla leadership e un’altrettanto evidente proiezione verso il Medio Oriente. L’Algeria, al contrario, è un Paese affacciato sulla penisola iberica e ricco di relazioni (eredità del colonialismo, ma pur sempre relazioni) con la Francia e l’Europa ma molto attento alla propria dimensione africana, come dimostrano le eterne dispute sullo status del Sahara con i vicini Marocco e Libia e come impone la sua condizione di secondo Paese dell’Africa (dopo il Sudan) per dimensioni. Non si sono amati in passato e difficilmente potranno farlo in futuro, perché portatori di due visioni diverse dell’identità nazionale dell’identità africana.
Seconda considerazione: di questo sanguinoso spareggio tengano conto tutti coloro che parlano, quasi sempre a sproposito, dell’islam come se fosse un unico, impenetrabile monolite. L’Egitto (altra brace che di tanto in tanto si estende in fiamma) rimase per quindici anni fuori dalla Lega araba (1973-1989), accusato dagli altri Paesi di aver firmato il Trattato di pace con Israele. Di quel Trattato non importa più nulla a nessuno, in sostanza. Disturba ancora molti, però, l’ambizione del Cairo di dettare il passo, in fondo di fare da anello di congiunzione tra i due continenti e le due sponde del Mediterraneo. Una primazia che nessuno vuole riconoscere. Al fondo la lezione è sempre quella: dividere i Paesi islamici non è difficile perché sono già fin troppo divisi tra loro. E per ragioni ben più profonde e radicali di quelle che, secondo alcuni, dovrebbero invece unirli in una specie di santa alleanza contro il nostro mondo.
Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 22 novembre 2009