EGITTO E ALGERIA, L’AFRICA IN FUORIGIOCO

L’hockey fu interprete della dignità nazionale dei cecoslovacchi appena invasi dall’Urss, il ping pong potè riavvicinare Usa e Cina, il cricket ha raccolto in uno stesso stadio tifosi di Paesi come India e Pakistan che hanno sfiorato la guerra atomica e combattuto tre volte quella “normale”, il calcio ha sancito con le Olimpiadi la nuova stagione dell’Iraq liberato da Saddam Hussein. Possiamo dunque stupirci se la qualificazione alla fase finale dei Mondiali, che verrà per di più giocata in Sudafrica e dunque per la prima volta nel continente africano, è riuscita ad attizzare una mezza guerra tra Egitto e Algeria, con decine di morti, giocatori minacciati e aggrediti, ambasciate sotto assedio, ambasciatori richiamati e presidenti che lanciano proclami in Tv? E non è almeno ipocrita piangere sul sangue sparso in nome di una vecchia rivalità e non spendere nemmeno una parola sul fatto che lo spareggio decisivo sia stato comunque giocato in Sudan, a dar lustro al regime di un ricercato internazionale per genocidio (il presidente Omar Hasan Ahmad al Bashir), persecutore del popolo del Darfur?

     

Tifosi egiziani sugli spalti. Eliminata dall'Algeria dalla fase finale del Mondiali 2010, la nazionale dell'Egitto è comunque stata sei volte campione d'Africa.

Tifosi egiziani sugli spalti. Eliminata dall'Algeria dalla fase finale del Mondiali 2010, la nazionale dell'Egitto è comunque stata sei volte campione d'Africa.

      Ancor più curiosamente, qualcuno ha voluto tirare in ballo il fondamentalismo islamico. Che certo alligna nelle viscere di queste società e crea pericoli, ma che in questa occasione è stato semmai evocato, nella persona di più o meno autorevoli esponenti religiosi, per placare gli animi e ricondurli alla ragione. Dimenticando, anche qui con una certa ipocrisia, che l’Algeria è governata da un Presidente (Abdelaziz Bouteflika) che fu insediato nel 1999 dai generali dell’esercito e che l’Egitto è affidato a un rais (Hosni Mubarak) che regna dal 1981 e che ha messo fuori legge ogni movimento o partito che destasse anche solo il sospetto del fondamentalismo.

Come si vede anche da questa vignetta, le tensioni tra Egitto e Algeria, in occasione dello spareggio calcistico, non sono certo giunti inattese.

Come si vede anche da questa vignetta, le tensioni tra Egitto e Algeria, in occasione dello spareggio calcistico, non sono certo giunti inattese.

      Dai tormenti politico-calcistici di Algeria (che andrà ai Mondiali vendicando così lo smacco del 1989, quando invece con analoghi disordini si qualificò l’Egitto, sei volte campione d’Africa) ed Egitto possiamo invece trarre qualche lezione più seria. I due Paesi non si amano e non si sono mai amati perché incarnano due diverse vocazioni nazionali. L’Egitto è il Paese africano che manifesta la più spiccata vocazione alla leadership e un’altrettanto evidente proiezione verso il Medio Oriente. L’Algeria, al contrario, è un Paese affacciato sulla penisola iberica e ricco di relazioni (eredità del colonialismo, ma pur sempre relazioni) con la Francia e l’Europa ma molto attento alla propria dimensione africana, come dimostrano le eterne dispute sullo status del Sahara con i vicini Marocco e Libia e come impone la sua condizione di secondo Paese dell’Africa (dopo il Sudan) per dimensioni. Non si sono amati in passato e difficilmente potranno farlo in futuro, perché portatori di due visioni diverse dell’identità nazionale dell’identità africana.

Seconda considerazione: di questo sanguinoso spareggio tengano conto tutti coloro che parlano, quasi sempre a sproposito, dell’islam come se fosse un unico, impenetrabile monolite. L’Egitto (altra brace che di tanto in tanto si estende in fiamma) rimase per quindici anni fuori dalla Lega araba (1973-1989), accusato dagli altri Paesi di aver firmato il Trattato di pace con Israele. Di quel Trattato non importa più nulla a nessuno, in sostanza. Disturba ancora molti, però, l’ambizione del Cairo di dettare il passo, in fondo di fare da anello di congiunzione tra i due continenti e le due sponde del Mediterraneo. Una primazia che nessuno vuole riconoscere. Al fondo la lezione è sempre quella: dividere i Paesi islamici non è difficile perché sono già fin troppo divisi tra loro. E per ragioni ben più profonde e radicali di quelle che, secondo alcuni, dovrebbero invece unirli in una specie di santa alleanza contro il nostro mondo.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 22 novembre 2009

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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