Monsignor Kussala aveva denunciato le atrocità compiute da miliziani dell’Lra (Lord’s Resistance Army, l’Esercito di resistenza del Signore, un gruppo ribelle nato sul finire degli anni Ottanta). «Confermo. Si tratta di due episodi diversi, entrambi accaduti ad agosto. Un paio di giorni prima dell’Assunta, uomini armati hanno fatto irruzione nella chiesa di Nostra Signora della pace, nella città di Ezo, profanandola e rapendo 17 persone: sette le hanno trovate giorni dopo, crocifisse su assi di legno piantati per terra. Il secondo tragico evento ha riguardato la parrocchia di un villaggio vicino a Nzara. Hanno sequestrato 12 fedeli, crocifiggendone sei».
Le cronache raccontano che, in risposta alle violenze, il vescovo ha promosso una “tre giorni” di preghiera coinvolgendo cristiani di ogni denominazione: 20 mila sudanesi hanno camminato per più di due chilometri scalzi e con il capo cosparso di cenere, protestando così contro la mancanza di sicurezza e l’insufficiente spiegamento di forze di polizia. «I miliziani dell’Lra arrivano dal Nord dell’Uganda», riprende monsignor Kussala, «vivono nella foresta, in aree di confine con il Sudan, la Repubblica Centroafricana e la Repubblica democratica del Congo. Attaccano i villaggi, uccidono sul posto quanti cercano in qualche modo di resistere, sequestrano ragazzi e bambini arruolandoli a forza e costringendoli a combattere con loro».
Il conflitto è alimentato da ragioni politiche ed economiche: «La nostra è una terra ricca di risorse, cominciando dal petrolio. A queste motivazioni, che rimangono le principali, se ne affiancano altre di natura religiosa o pseudo tale. Una cosa è certa. Qualcuno, non so chi, aiuta queste milizie ben armate, ben addestrate, dotate di telefoni satellitari. Il resto del mondo deve aiutarci attraverso incisive azioni politiche e diplomatiche. Non lasciateci soli».
Il Sudan non è l’unico Paese che vede i cristiani presi di mira e ammazzati. Il 3 ottobre, a Kirkuk, nell’Irak del Nord, è stato rapito davanti a casa un infermiere cristiano, Imad Elia Abdul Karim, 55 anni, sposato, due figli. L’indomani notte, alle 23, la polizia ne ha ritrovato il corpo nello stesso quartiere in cui in passato erano stati uccisi un importante funzionario cristiano della città, Aziz Risqo, e due donne. Stando al referto medico la vittima avrebbe subito torture prima di morire. L’arcivescovo di Kirkuk, monsignor Louis Sako, aveva lanciato un appello per la sua liberazione, definendo ancora una volta «preccupante» la situazione dei cristiani, negli ultimi mesi diventati sempre più «bersaglio di minacce, sequestri e omicidi». In dichiarazioni riprese anche dalla Radio Vaticana, monsignor Sako aveva denunciato quanti «mirano a guadagni politici» o «approfittano di una mancanza di ordine» per perpetrare sequestri e chiedere «riscatti in denaro». Lo stesso vescovo di Kirkuk ha successivamente reso noto che capi religiosi sunniti e sciiti hanno espresso alla comunità cristiana locale vicinanza e solidarietà. Un apprezzato gesto di distensione e di dialogo.
Le norme che regolano la blasfemia, poi, continuano a tenere con il fiato sospeso i cristiani in Pakistan, un Paese dove il 90% dei suoi 180 milioni di abitanti è musulmano. Tanto severe quanto giuridicamente confuse, secondo molti queste norme servono a mascherare le diffuse discriminazioni contro i cristiani a livello sociale, economico, legale e culturale. Spesso scorre il sangue. Come si ricorderà, il 30 luglio migliaia di fondamentalisti islamici sono piombati sul villaggio di Koriyan e hanno incendiato 51 abitazioni cristiane proprio in seguito a un presunto caso di blasfemia. Due giorni più tardi, il primo agosto, almeno 3 mila estremisti hanno preso di mira la comunità cristiana di Gojra, bruciando vive sette persone (tra cui due bambini e tre donne), e ferendone altre 19.
Infine, le Filippine. L’11 ottobre, in un’area di Mindanao, dove opera il Fronte di liberazione islamico Moro, è stato rapito il missionario cattolico irlandese padre Michael Sinnott. Un mese dopo, per fortuna, è stato liberato.
di Alberto Chiara
(questo articolo è stato pubblicato su Famiglia Cristiana n. 46)