DUE: IL PRECARIATO FRENA LO SVILUPPO

… Ma non basta. Stiamo attenti quando sentiamo i soliti discorsi sul mercato del lavoro italiano, troppo rigido, troppo ingessato. Per molti aspetti è vero. Ma chi fa questi discorsi si scorda sempre di dire anche che l’Italia, già oggi, è la capitale mondiale del lavoro autonomo: il 27% degli occupati lavora da autonomo, quindi con la massima flessibilità possibile, avendo piena libertà di decidere se lavorare o meno e con quali orari e compensi. Fermo restando che l’autonomo non è nemmeno ingabbiato dagli oneri sociali: mutua, liquidazione, indennità di disoccupazione.

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      Per avere un’idea più completa della situazione, ricordo un altro fatto: tale percentuale di lavoratori autonomi è più o meno il doppio di quella che si registra in Germania, Gran Bretagna e Francia, il triplo di quella che si trova in Danimarca. Se la percentuale di lavoro autonomo (che rappresenta, appunto, l’esatto contrario del tanto vituperato “posto fisso”) è un indicatore della modernità, come si spiega che solo la Grecia ci supera in percentuale sul totale degli occupati? Con tutto il rispetto per Atene e dintorni, ci verrebbe mai in mente di considerare la situazione sociale della Grecia un paradigma della modernità?

      Proprio in queste cifre, però, si nasconde la grande fregatura: perché chi parla di flessibilità, nella realtà quotidiana pratica e sostiene un precariato di massa che, nella sua implacabile fissità, è l’esatto contrario della tanto auspicata mobilità del mercato del lavoro. L’Italia è la patria dei “contratti a progetto” rinnovati per cinque, sei anni, e qualcuno dovrebbe spiegarmi di che “progetto” si tratta se dura tanto. E’ la patria dei contratti a termine rinnovati all’infinito: cito a memoria ma ho letto che la moglie dell’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo, lavora in Rai con contratti a termine dal 1992. Diciassette anni di carriera provvisoria, vi rendete conto?

      In più, l’Italia sta diventando la patria anche delle finte partite Iva. Si tratta di coloro che di fatto vengono cacciati dalle aziende, per essere riassunti una volta che abbiano aperto la partita Iva. Sono lavoratori autonomi di nome ma non di fatto: non sono iscritti ad albi o associazioni professionali, quasi sempre hanno un unico committente, un datore di lavoro che con quella procedura risparmia, in oneri sociali di varia natura, tra il 25 e il 33%. Sono redattori editoriali, grafici, fornitori di servizi da ufficio (anche segretarie) e il loro reddito medio, stando alle statistiche del Fondo Gestione Separata dell’Inps, si aggira intorno ai 15 mila euro l’anno: un reddito, appunto, da precario. Sono circa 250 mila e nel solo 2008-2009 sono cresciuti di più di 30 mila unità. Decine di migliaia di partite Iva che sono state espulse dal ciclo produttivo regolare e, nella maggior parte dei casi, sono finite in un limbo occupazionale che prevede per loro solo gli obblighi del posto fisso, sterilizzati però dei diritti cui facevamo cenno prima, dalla mutua alla liquidazione.

      Mi pare inutile sottolineare che tutto questo nuoce agli individui come alla società: la precarietà a basso reddito impedisce alle persone di programmare la propria vita (come sposarsi e metter su famiglia, per esempio, con un reddito instabile da 15 mila euro l’anno?); questo impedimento frena o addirittura blocca un’attività economica (comprar casa, fare vacanze, spendere per vestirsi o per attrezzare la casa… ) decisiva per il Paese.

(2.continua)

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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