UNO: IL POSTO FISSO TIENE IN PIEDI L’ITALIA

Qualche tempo fa mi è capitato di pubblicare su “Famiglia Cristiana” un pezzo sulla polemica precariato–posto fisso innescata da alcune dichiarazioni del ministro Tremonti. Quell’articolo mi ha procurato qualche grana, compensata da una serie di reazioni piuttosto interessanti. Molti hanno creduto di rispondere o di commentare attraverso il sito Facebook del giornale, in sostanza riprendendo le tesi di Confindustria e di alcuni membri del Governo italiano: l’ambizione al posto fisso è una cosa da retrogradi, il precariato è la condizione per eccellenza del lavoro nell’epoca moderna. Spiacente, è vero esattamente il contrario: retrogrado è chi ipotizza che lo stato naturale del lavoro sia la precarietà. Non chi, come me, pensa che una certa flessibilità del mercato del lavoro sia necessaria e inevitabile, ma solo al fine di produrre più avanti (e non anni e anni dopo) stabilità e sicurezza per chi intraprende come per chi lavora.

      lAVORATORI GRATTACIELO

      Intanto, alcuni dati strutturali. In Italia, la popolazione attiva supera di poco i 25 milioni di persone. Se la disoccupazione è al 7% (virgola più, virgola meno), vuol dire che gli occupati sono circa 17 milioni e 500 mila. Poiché i lavoratori “instabili” sono, da statistiche Inps, circa 3 milioni e mezzo, vuol dire che l’economia italiana si regge largamente sugli occupati a tempo indeterminato (14 milioni), i cosiddetti “posti fissi”. Osservazione banale ma che dovrebbe far riflettere coloro, anche nel Governo, che esaltano la performance dell’Italia in tempo di crisi  e allo stesso tempo lodano il precariato come scelta di vita, o addirittura come sinonimo di “modernità”. Tanto più se si considera che il prezzo della depressione economica viene pagato (vedi Rapporto Cisl sull’occupazione 2009) soprattutto dai precari (a metà novembre il 21% delle cessazioni dei rapporti di lavoro riguardava i contratti a tempo indeterminato e il 79% quelli a termine), che smettono di guadagnare ma anche, è ovvio, di produrre per sé e per il Paese.

      Inoltre: oltre l’80% degli italiani è proprietario della casa in cui vive, situazione a cui va parte notevole del merito per la resistenza alla crisi economica, che in molti Paesi (Usa soprattutto, ma anche Irlanda e Spagna) è stata innescata dalla cosiddetta “bolla immobiliare”, in sostanza dagli acquisti di case finanziate col debito presso le banche. Vantaggio che non avremmo avuto senza la pluridecennale tradizione del “posto fisso”, cioè di un reddito sicuro nel tempo che ha consentito alle famiglie un risparmio (quindi, acquisti con mezzi propri) o un accantonamento (acquisti col mutuo) altrettanto prolungato nel tempo infine benefico sia per gli individui sia per la collettività.

      Per cui: se il nostro Paese, insieme con molti pasticci, ha prodotto anche imprese economiche degne di nota, lo deve proprio alla cultura e alla pratica del posto fisso. Che, guarda caso, si è anche mostrata la base migliore per resistere a una crisi economica globale e protratta nel tempo come quella che stiamo ancora attraversando.

(1.continua)

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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