Sono uno dei due o tre italiani che ancora non frequentano Facebook. Per dirla tutta, non frequento alcun social network. E per dirla tuttissima, non so spiegare bene perché. Provo a farlo con la storia di Carlo, 15 anni, di Torre del Greco (Napoli): un cassetto pieno di sogni (era scout, voleva diventare marinaio) e un profilo Facebook pieno di amici (107), ma si è ucciso dopo aver annunciato sul sito “Sto arrivando all’aldilà” e aver lanciato nel cyberspazio un conto alla rovescia. Meno tre, meno due, meno uno e Carlo si è impiccato usando una cintura.
La storia è uscita sui giornali di qualche giorno fa. Volevo scriverne da subito ma ho dovuto pensarci. Perché detesto la speculazione (giornalistica e non) sul dolore quasi quanto il chiacchiericcio parapsicologico che sempre si scatena in questi casi. A Carlo di sicuro ora pensano gli angeli. Ma perché nessuno, prima, ha pensato a lui, che pure aveva addirittura annunciato sul web le sue intenzioni? E’ per questo che non uso i social network: perché alla fin fine mi paiono una parodia della comunicazione, e le amicizie virtuali una parodia triste delle amicizie vere.
Non voglio insegnare a vivere a nessuno, ovviamente. E certo mi potreste fare cento esempi del contrario. Io stesso, nei giorni scorsi, ho sentito parlare con commozione di un gruppo di persone di tutte le età radunatesi in fretta e spontaneamente, su Facebook, intorno alla memoria di un amico scomparso. Ma che cosa vuol dire avere 300, magari 400 amici? O anche “solo” 107, come il povero Carlo? Ha senso? La stessa Facebook ha commissionato al sociologo inglese Cameron Marlow una ricerca sulle amicizie virtuali tipiche del social network. Marlow ha scoperto che quelli che hanno 500 amici su Facebook, nel mondo reale ne hanno in media 10 se sono uomini e 16 se sono donne; chi ne ha 150 su Facebook scende a 5 (se uomo) e 7 (se donna); chi ne ha 100 su Facebook si riduce, nei fatti, a 3 se uomo e 4 se donna.
Detto dunque che le donne hanno relazioni amicali più facili e frequenti, la mia domanda è: quei 490 che uno da 500 amici su Facebook chiama appunto “amici” ma che non lo sono, che cosa sono in effetti? Proiezioni dell’ego? Fantasie? Pubbliche relazioni? L’equivalente contemporaneo della panchina al parco su cui si spiaggiavano gli anziani di una volta? La versione elettronica di quello Speaker’s Corner di Hyde Park da cui oratori improvvisati diffondo a chi ha tempo da perdere la loro ricetta per rifare il mondo?
Le volte in cui sono entrato in Facebook (siamo quattro in famiglia, due lo frequentano e due no) per curiosare un po’, ho quasi sempre avuto l’impressione che ci sia un sacco di gente che si parla molto per non dirsi niente. E le amicizie elettroniche mi hanno fatto l’effetto di quei camini che dentro non hanno i ciocchi di legno e la fiamma vera ma lampadine al neon che non scaldano e fanno piuttosto venire un brividino lungo la schiena. Per questo, della storia di Carlo, mi sconvolge la fine tragica e prematura di una vita piena di promesse e di speranze. Ma mi atterrisce l’idea che lui abbia raccontato a tutti, sul web, le proprie intenzioni solo per scoprire che nessuno dei tanti con cui “parlava” era poi disposto anche ad ascoltare.