CINA, LA POLITICA DEL FIGLIO UNICO MANDA IN CRISI LO SVILUPPO

Shangai, la capitale industriale e finanziaria, la megalopoli (20 milioni di abitanti), ha infranto uno dei più feroci tabù della Cina contemporanea: il dogma del figlio unico. E non solo: il Comitato per la pianificazione familiare ha lanciato una campagna affinché abbiano più figli le coppie che, nel complicato sistema di regole, sono autorizzate a farlo. Sono previste infatti eccezioni per le minoranze etniche (11% della popolazione), per le famiglie di aree rurali in 19 province se il primo figlio è femmina, per i cinesi che rimpatriano, per le coppie al secondo matrimonio e per quelle composte da figli a loro volta unici. Oltre che, naturalmente, per i nuovi ricchi (che possono pagare le multe in caso d’infrazione) e per i vecchi burocrati ammanicati col potere.

 
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      Un manifesto di propaganda della politica del figlio unico.

    

      E’ l’inizio di una rivoluzione culturale? Più che altro, un’esigenza sociale ed economica: a Shangai gli “over 60” sono ormai il 22% della popolazione, quota destinata a diventare il 34% tra dieci anni. La macchina produttiva rischierebbe di incepparsi per mancanza di braccia e menti fresche. A più lunga scadenza, il problema potrebbe avere conseguenze drammatiche sull’intera Cina. E’ stato calcolato che, ai ritmi attuali di crescita, nel 2050 nel Paese ci saranno 440 milioni di “over 60” e 100 milioni di “over 80”, con un rapporto di cittadini in età da lavoro sui pensionati di 1,6, contro per esempio il 7,7 del 1975. La Cina non ha un vero sistema di welfare, e quell’immensa quantità di anziani sarebbe lasciata sulle spalle delle famiglie, caricandole di spese e difficoltà difficili da superare.
      Furono ragioni economiche, d’altra parte, a dettare l’introduzione della politica dei figlio unico ai tempi di Deng Xiao Ping. Ce lo spiega bene, anche nei dettagli più brutali e nascosti, il libro del dissidente cinese Harry Wu, appena uscito per Guerini e Associati, intitolato “Strage di innocenti”. Il Consiglio di Stato approvò nel gennaio 1979 la politica statale di controllo delle nascite, offrendo incentivi in denaro, terre e bestiame alle coppie che, firmando un apposito “certificato”, si impegnavano a generare un unico figlio, mentre venivano multate le coppie con tre o più bambini.
      Era la consacrazione di un atteggiamento tutt’altro che tradizionale per la Cina ma emerso fin da metà anni Sessanta, quando i dirigenti cominciarono a considerare lo sviluppo demografico un problema, anzi una minaccia alla stabilità del Paese. Nel 1980 la politica del figlio unico fu resa ancor più rigida e il Comitato centrale del Partito comunista cinese pubblicò la Lettera aperta a tutto il Partito comunista e ai membri della Lega comunista giovanile sul controllo della crescita della popolazione della nazione. La crescita demografica, si diceva a chiare lettere, era un ostacolo alla realizzazione delle Quattro Modernizzazioni, la riforma lanciata nel 1978 da Deng Xiao Ping che doveva investire i settori-chiave di agricoltura, tecnologia, industria e difesa.
      Si calcola che da allora siano 400 milioni i cinesi non nati a causa della politica del figlio unico, con mezzi che vanno dall’aborto selettivo (perché il maschio è preferito dalle famiglie che possono avere un solo figlio) alla repressione pura e semplice, passando per una galleria degli orrori che va dalla sterilizzazione forzata al commercio di placente e forse di organi, oltre alla solita quota di corruzione che sempre prospera all’ombra delle norme coercitive affidate a schiere di funzionari di poco meno miserabili dei cittadini che dovrebbero controllare. E’ una pagina tremenda della storia contemporanea, resa ancor più tale dalla constatazione che altri 400 milioni di persone in un Paese che già ne ospita (e sfama e alloggia e fa lavorare) 1 miliardo e 350 milioni avrebbero anch’essi potuto produrre conseguenze non troppo allegre.
    

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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